Pubblicato su Startmagazine.it il 14 maggio 2022
di Gianni Bessi

Le notizie sui blocchi alle forniture di gas russo all’Europa si succedono senza sosta: l’ennesima mossa è arrivata dalla compagnia ucraina Naftogaz, che mercoledì ha interrotto i flussi verso l’Europa, seguita il giorno dopo da Mosca che ha imposto sanzioni alle filiali europee di Gazprom, dichiarando che per questo motivo non sarà più in grado di trasportare il gas attraverso la Polonia utilizzando la pipeline Yamal-Europa. Come risultato, i prezzi del gas alla borsa olandese sono saliti del 20 per cento, toccando quota 115 euro per mWh.

Snam ha però rassicurato il mercato che la pressione delle forniture non è diminuita: possiamo dire, con una battuta, che in questo momento la situazione geopolitica è allo stato “gassoso”.

L’impressione è che il gas, dopo tante minacce più o meno velate, venga utilizzata non solo dalla Russia come un’arma per mettere pressione all’Unione europea: sia la mossa di Naftogaz che in una dichiarazione ufficiale ha ammesso di «non essere più responsabile del trasporto del gas russo attraverso i territori ucraini sotto occupazione militare russa, cioè il valico di Sokhranivka e la stazione di compressione Novopskov», sia quella di Gazprom che interessa le società sussidiarie occidentali, prima fra tutte quella polacca, aumentano le difficoltà dei clienti europei. Nonostante il ministro tedesco Robert Habeck abbia dichiarato al Bundestag che nonostante alcune società sussidiarie di Gazprom non stiano ricevendo più flussi di gas il mercato offre alternative, l’escalation della situazione è innegabile.

A questo punto, che il blocco delle pipeline sia una mossa di Zelensky oppure una ritorsione russa per mettere pressione a un’Unione europea che, comunque, sta ancora cercando una coesione per approvare ulteriori e più pesanti sanzioni, diventa meno importante che accelerare la ricerca di fornitori alternativi e, nel caso sia possibile, sveltire il percorso della transizione energetica.

Ci sono più domande che risposte: una di queste ultime è cominciare a guardare al Mediterraneo come la nuova opportunità per emancipare, se non tutta Europa almeno l’Italia e gli altri paesi meridionali, dalla dipendenza verso la Russia.

Di questo scenario futuro si è parlato in un incontro a Ravenna, ‘Il Mediterraneo e le sue sfide’, promosso dal professore e storico Michele Marchi, al quale ho partecipato insieme a Stefano Cingolani de Il Foglio e al professor Silvio Labbate.

Ho preso in esame quali siano le opportunità per una nuova strategia energetica: intanto dai giacimenti del Nord Adriatico, nella zona a nord di Goro, ci sono riserve per dai 50 ai 70 miliardi di metri cubi di gas: sono dati degli anni 90 e quindi non è azzardato ritenere che con i prezzi attuali del gas e le nuove tecnologie di oggi la stima triplicherebbe.

Se potessimo sfruttarli saremmo in grado di raddoppiare la produzione nazionale. Inoltre, oltre al giacimento egiziano di Zohr, nel cui sfruttamento è coinvolta Eni, che contiene 850 miliardi di metri cubi di gas, esiste una notevole potenzialità sia in Algeria (4.504 miliardi di metri cubi stimati nei suoi giacimenti fonte Statista.com) sia in Libia (1.500 miliardi di metri cubi fonte Statista.com). Senza contare l’area del Medioriente, con le risorse energetiche di Grecia, Cipro e Israele.

L’accelerazione prodotta dalle ultime vicende, per sintetizzare, impone un cambio di strategia dell’Europa. E la intendo, possibilmente, unitaria: invece questa omogeneità di intenti pare difficile da trovare, anche perché la dipendenza di alcuni paesi sta pesando sul tavolo delle decisioni politiche dell’Ue. La Germania, nonostante le titubanze sull’embargo totale di gas, essendo la nazione europea più dipendente dalle forniture russe – uno stop provocherebbe un’enorme crisi economica, «la peggiore dalla seconda guerra mondiale» come ha dichiarato al Financial Times il Ceo di Basf, Martin Brudermüller – ha già fatto le scelte necessarie per distaccarsi dal fornitore storico: è stato approvato l’acquisto di rigassificatori galleggianti di Gnl (Gas naturale liquefatto) e iniziato l’iter per renderli operativi al più presto. E ha chiuso il North Stream 2 e dato il via alle estrazioni di gas nel mare del nord.

La Russia, oltre alla novità dell’ultima ora del blocco degli approvvigionamenti, sta già usando le armi a sua disposizione per indebolire l’Ue, a cominciare da quella valutaria. In questo senso va letta, credo, la richiesta, non proprio cristallina, della Russia di essere pagata in rubli. È una mossa che punta a prendere tempo e consentire alla Banca centrale russa di rivalutare il rublo, legando strettamente la politica monetaria alla sua risorsa più preziosa, le materie prime, come se il gas potesse essere considerato una sorta di prodotto finanziario ‘sottostante’, a garanzia della divisa nazionale: per ora pare che i risultati stiano dando ragione alla governatrice Elvira Nabiullina, visto che recentemente ha toccato il suo valore massimo nei confronti del dollaro dall’inizio del 2020.

La manovra russa sembra quindi indebolire ulteriormente il fronte europeo, già reso più fragile da un’incapacità di definire una risposta unitaria alla crisi energetica: un esempio per tutti è l’ipotesi di istituire un price-cap sul prezzo del gas, che è un cavallo di battaglia del premier Mario Draghi e che è stato già messo in pratica da Spagna e Portogallo. In realtà pare una soluzione non semplice su cui occorre una consapevolezza: un osservatore attento come Luigi De Paoli sulla Staffetta quotidiana ha spiegato che se una Autorità interviene a fissare il prezzo di una merce, in particolare fissandolo a un livello più basso di quello espresso in quel momento dal mercato, vuol dire che deve essere in grado di far diminuire la quantità acquistata attraverso forme di razionamento.

L’Europa ha l’esigenza di trovare, più che mai, una linea comune per rispondere alle emergenze che ogni giorno crescono di numero e di ‘gravità’: i pagamenti in rubli, il procedere ‘scomposto’ dei paesi membri alla ricerca di forniture e adesso le interruzioni dei flussi di approvvigionamento del gas.

Come ho sottolineato al convegno ‘Il Mediterraneo e le sue sfide’, l’Ue deve riuscire a divincolarsi dalla trappola energetica in cui è imprigionata, trovando in primo luogo la strategia che le permetta di emanciparsi dalla dipendenza nei confronti della Russia. È un’Europa che appare indebolita e che alcuni criticano a prescindere come la fonte di tutti i mali.

Altri la danno addirittura per spacciata. Però continua a essere ancora il luogo del mondo dove sono maggiormente rispettati i diritti civili, dove è garantita la separazione dei poteri e dove esiste un welfare inimitabile per equità ed efficacia. E resta una attrazione per uomini e donne da ogni parte del mondo.

Teniamone sempre conto e soprattutto teniamocela stretta.

Le slide presentate al convegno