Pubblicato su Startmagazine.it il 3 novembre 2021

di Gianni Bessi

Catturare e stoccare l’anidride carbonica: le parole di Draghi, il progetto di Eni e le resistenze istituzionali. L’intervento di Gianni Bessi, consigliere regionale del Pd in Emilia-Romagna

Prima o poi, sfrondate tutte le ipotesi irrealizzabili, almeno per il momento, si doveva arrivare a una sintesi di ‘cosa fare’ per iniziare il cammino della decarbonizzazione. Mario Draghi, con il consueto realismo, ha affermato al Cop26 di Glasgow che le rinnovabili hanno limiti e che si deve investire nelle tecnologie di cattura del carbonio. Questo non fa sicuramente piacere agli ambientalisti e, per la verità, è un’ammissione che gli strumenti per combattere il cambiamento climatico non sono né così tanti né sufficientemente avanzati tecnologicamente.

Finalmente però il presidente del Consiglio ha indicato una strada che è, vale la pena ricordarlo, la stessa che aveva ipotizzato l’Ue per bocca del Vicepresidente della Commissione Europea con delega al Green Deal Frans Timmermans: lo sviluppo della Carbon Capture and Storage (CCS). I progetti per andare in questa direzione ci sono già, ma in questo momento sono fermi perché l’opinione pubblica, la scienza e i movimenti ambientalisti sono divisi su questo punto, fra gli entusiasti e, appunto, gli scettici.

La forte esortazione di Mario Draghi ha comunque bisogno di una risposta veloce e, a seguire, di passi concreti. E i passi concreti possono essere solo quelli già progettati e cantierabili immediatamente. In questa lista c’è ovviamente l’impianto di cattura e stoccaggio di anidride carbonica di Eni, che infatti immaginiamo essere soddisfatta della parole del primo ministro: la società ha un piano strategico da realizzare a Ravenna per abbattere le emissioni ‘hard to abate’ di CO2 prodotte da Versalis, la società chimica del gruppo e uno dei player mondiali del settore. Oggi siamo nella fase del progetto pilota che Eni intende realizzare: il progetto si completa con lo stoccaggio nei pozzi esausti dell’Adriatico e con la possibilità di utilizzare la CO2 stoccata a fini industriali. È un progetto perfettamente coerente con i criteri dell’economia circolare.

Da osservatore registro verso questo progetto “Made in Italy” alcune resistenze nel parlamento o nei ministeri coinvolti. Nonostante il progetto sia strategico e abbia le carte in regola per diventare un ‘biglietto da visita ambientale’ non solo per il sistema industriale emiliano-romagnolo ma per l’intero sistema dell’hard to abate italiano che potremmo poi replicare a livello mondiale.

Cosa manca? Una presa di posizione non solo al G20 o a Glasgow ma a livello nazionale per superare paure e anche timori da parte di tutti. Sì, di tutti. Per esempio quello che servirebbe con urgenza è la costruzione in Italia di un quadro normativo certo che tenga conto delle direttive europee.

Abbiamo giustamente fretta di incidere sul cambiamento climatico e quindi dobbiamo procedere con gli strumenti, tutti gli strumenti, che abbiamo a disposizione. Senza aspettare la pallottola d’argento che risolverà tutto in colpo solo.