Pubblicato su Startmagazine.it il 25 novembre 2021
di Gianni Bessi
Fatti e scenari sul prossimo governo Scholz in Germania. L’intervento di Gianni Bessi, consigliere regionale del Pd in Emilia-Romagna e autore di Post-Merkel. Un vuoto che solo l’Europa può riempire (goWare, 2021)
Il nuovo governo tedesco non è ancora ufficialmente nato, sebbene la casella più importante, quella di primo ministro, sia saldamente occupata da Olaf Scholz, che a questo punto può essere senza tema di smentita definito il successore di Angela Merkel. Era stata la stessa cancelliera del resto ad avviare il passaggio, presentandolo ufficialmente alle riunioni fra i ‘grandi’ della terra. Certo ora, visto l’aggravarsi della situazione sanitaria causata dalla pandemia, la nascita del nuovo esecutivo cosiddetto ‘semaforo’ – cioè composto da un’inedita alleanza tra socialdemocratici, verdi e liberali – ha subito un’accelerazione: ieri è già stato presentato l’accordo tra le tre forze che lo compongono, Spd, Fdp e Grüne. Ora si aspetta il giuramento del nuovo cancelliere che dovrebbe avere luogo nella settimana che inizia il 6 dicembre.
Scholz ha chiuso il negoziato con il coinvolgimento diretto dei leader dell’inedita coalizione i ruoli chiave: in special modo, la coppia i Verdi Robert Habeck e Annalena Baerbock. Il primo sarà vicecancelliere e ministro di un dicastero dell’Ambiente ‘rafforzato’, sulla falsariga del nostro Mite, la seconda ministro degli Esteri.
Per quanto riguarda il dicastero delle finanze sul tavolo continua a esserci solo il nome del liberale Christian Lindner, sul quale si sono scontrate perplessità e ferme difese. E visto che l’accordo deve comunque essere ancora approvato dagli organismi dei tre partiti, continua l’incessante bisbiglìo dei dietro alle quinte della politica, che tiene in vita ipotesi di vecchi scenari e di opzioni ancora non esplorate. Perché in politica nulla è mai scontato, neppure in Germania.
Ma andiamo per ordine e ripercorriamo alcuni passaggi significativi di queste ultime settimane. Lo faccio prendendo spunto da un articolo degli economisti Joseph Stiglitz e Adam Tooze, che definiscono Lindner non adatto a ricoprire l’incarico di ministro delle finanze perché proprio la politica finanziaria è stata il tema centrale della campagna elettorale dei liberali. E l’Europa in questo momento non ha bisogno di una politica di bilancio conservatrice e restrittiva, in pratica una politica di austerità, perché sarebbe una frattura netta con la precedente politica finanziaria tedesca, incarnata proprio da Olaf Scholz e comunque dettata da Angela Merkel, prima sostenitrice del Recovery fund e delle azioni collegate. Oggi sappiamo che l’ipotesi di Stiglitz e Tooze non si realizzerà, vista la composizione del nuovo esecutivo, ma aveva una sua ragione e un suo fascino anche perché Lindner a parere dei due economisti sarebbe perfetto come ministro per la tecnologia digitale. Il motivo è che «FDP rappresenta una fetta importante dell’elettorale tedesco, soprattutto quello più giovanile.
Esso infatti interpreta un’energia politica aperta al high-tech, alla modernizzazione, alla liberalizzazione e all’imprenditorialità». Invece avrebbero visto con piacere alle finanze un esponente dei Verdi: come secondo partito della coalizione sono la vera novità delle ultime elezioni e i loro leader giovani e popolari. Il ministero delle Finanze è di fatto il gabinetto più importante dello Stato federale tenuto conto che la politica estera, l’altro ministero ‘pesante’, è di fatto gestita dal cancelliere, anche per il suo ruolo all’interno del modello intergovernativo del Consiglio europeo. Per i Verdi controllare il bilancio federale significherebbe soprattutto indirizzare la nuova politica ambientale della repubblica federale: in sostanza, non sono le idee ma i soldi che potranno concretizzare la transizione ecologica, come sappiamo bene anche in Italia.
Resta comunque valido il teorema che qualsiasi posizione di governo occuperanno i Verdi saranno in grado di tenere il punto su alcune scelte che vanno nella direzione della decarbonizzazione, come l’uscita definitiva dal carbone come fonte fossile, sebbene proprio quest’anno le centrali a carbone abbiamo superato gli impianti eolici come produttrici di energia in Germania. Dall’altra parte, come partito di governo dovranno cedere ad alcuni compromessi e ammainare qualche vessillo del loro programma economico. Del resto non è un passo inedito per loro: l’hanno già fatto in occasione dell’esperienza nel Governo Schröder quando il loro leader storico Fisher mise da parte punti importanti del programma come l’uscita dalla Nato e l’estremismo pacifista. Oggi, per dare un nome alle cose, si tratterebbe di accettare la presenza del gas naturale nella Tassonomia europea e rinunciare all’introduzione di una tassa fissa di 60 euro per tonnellata di CO2 prodotta, cosa che spaventa il Mittelstand, il potente sistema delle piccole e medie imprese. E questo al di là di qualsiasi annuncio perché il pragmatismo tedesco piano piano modella tali scelte.
Non dimentichiamo che l’uscita dal nucleare e dal carbone richiede diversi passaggi, alcuni dei quali come la costruzione del gasdotto Nord Stream 2, sono già stati portati (quasi) a termine mentre altri, come gli 8 miliardi di euro per finanziare 62 nuovi progetti sull’idrogeno, sono in via di attuazione.
Tornando ai bisbiglìo della politica, destinato a restare un rumore di fondo fino al giuramento di Scholz, c’è un’ombra che si materializzerebbe nel caso salti l’accordo e la coalizione ‘a semaforo’ vacilli: il piano B inevitabile sarebbe la riproposta dell’attuale Grosse koalition.
Se così fosse l’identikit del nuovo ministro delle finanze è di facile definizione: un economista che sia gradito al socialdemocratico Scholz e abbia l’attributo di essere stato scelto per importanti incarichi proprio da Angela Merkel. Il nome è ovviamente quello di Jens Weidmann, l’ex presidente della Bundesbank che – qualcuno potrebbe commentare ‘opportunamente’ – si è dimesso proprio a ridosso della formazione del nuovo governo tedesco. In questo caso il sostegno finanziario alla transizione ecologica, nel solco della politica del duo Merkel-Scholz, sarebbe assicurato e, probabilmente, vedrebbe soddisfatti i grandi junker industriali, la Mittelstand e i sindacati, sempre disponibili a muoversi nel solco del ‘sincretismo tedesco’. Un elemento della storia e della cultura politica tedesca che ha giocato un ruolo nel trovare la quadra per la coalizione a semaforo presentata ieri in conferenza stampa dai tre leader.