Pubblicato su il Messaggero Economia il 30 novembre 2021
di Gianni Bessi
L’analisi – Descritto come “falco”, potrebbe rivelare sorprese
La nascita del nuovo governo tedesco a “semaforo” è stata meno sofferta del previsto e di quanto alcune cancellerie europee prevedevano anche in relazione alle esperienze passate.
La nascita del nuovo governo tedesco a ‘semaforo’ è stata meno sofferta del previsto e di quanto alcune voci di corridoio prevedevano: la poltrona più importante dopo quella di cancelliere, che ovviamente per i tedeschi non può che essere che quella delle finanze, alla fine sarà occupata dal leader dei liberali Christian Lindner. Sul suo nome i timori di quanti lo ritenevano inadatto al ruolo riguardavano soprattutto una possibile divergenza con le scelte fatte in materia di economia dal suo predecessore, l’attuale cancelliere in pectore Olaf Scholz.
L’esecutivo a guida Angela Merkel, infatti, si era discostato dall’usuale politica economica tedesca che ha come stella polare il concetto di austerità, per abbracciare il Recovery fund dell’Ue e le altre azioni a esso collegate. Era questa in sostanza l’osservazione mossa da due eminenti economisti americani, il premio Nobel Joseph Stiglitz e Adam Tooze, i quali consideravano Lindner inadatto al ruolo proprio per il ruolo centrale che il Fdp aveva riservato alla politica finanziaria durante la campagna elettorale dei liberali: i due studiosi ritenevano che l’Europa in questo momento non avesse bisogno di una politica di bilancio conservatrice. Un attacco che il leader dei liberali non ha fatica a rispedire al mittente, ricordando che al Bundestag il suo partito ha votato convintamente l’approvazione del Next generation UE.
Ancora una volta, invece, ha vinto il sincretismo tedesco, un concetto che ho spiegato nel libro “Post-Merkel. Un vuoto che solo l’Europa può riempire” e che può essere riassunto nella capacità germanica di tenere insieme le varie anime che compongono la società, soprattutto quando serve. Lo ha fatto Angela Merkel per 16 anni riprendendo il lavoro del suo mentore Helmut Kohl. Ed è quello che farà anche Olaf Scholz: anche lui ha un illustre predecessore come esempio di cancelliere votato a trovare una sintesi tra le varie culture politiche, Willy Brandt. Il quale per primo formò un governo facendo coesistere la Spd e lo Fdp di Walter Scheel.
Il terzo colore del semaforo è, ovviamente, il verde, che simboleggia il partito della coalizione che ha avuto indubbiamente il risultato più soddisfacente.
I suoi due leader, Robert Habeck e Annalena Baerbock, occuperanno due ministeri importanti: il primo, oltre a essere vicecancelliere, guiderà un dicastero dell’Ambiente ‘rafforzato’, sulla falsariga del nostro Mite, mentre la Baerbock gestirà gli affari esteri. Sarebbe dovuto essere uno di loro il nuovo ministro delle finanze, come suggerivano Stiglitz e Tooze e come si sarebbe portati a pensare leggendo il Koalitionsvertrag2021-2025, il documento che mette in fila obiettivi e azioni che la coalizione intende realizzare nei prossimi cinque anni? Certo, un grüne al dicastero delle finanze avrebbe potuto avere una leva in più per gestire le finanze in un’ottica ambientalista, magari forzando anche qualche passaggio. Ma da questo punto di vista va comunque ricordato che il Fdp rappresenta una porzione strategica dell’elettorato tedesco, soprattutto dei giovani che vogliono una Germania più intraprendente nelle politiche tecnologiche, nella modernizzazione, nella liberalizzazione e nell’imprenditorialità. E questa tendenza si lega bene alla volontà di iniziare un percorso di crescita economica, come è scritto più volte nel documento di programma, basato proprio sull’economia circolare e sulla tecnologia.
È indubitabile che un programma così ambizioso dal punto di vista ambientale, e che meriterebbe in futuro analisi più approfondite, mostra chiaramente l’impronta dei Verdi, che si possono ritenere soddisfatti di essere chiamati a gestire una Germania che si incammina verso un futuro sostenibile. Certo dovranno rinunciare a qualche “cavallo di battaglia”, come è già successo quando il loro leader storico Fisher, entrato a fare parte del gabinetto Schröder, mise da parte alcuni punti programmatici come l’uscita dalla Nato e il pacifismo a tutti i costi. Oggi, per dare un nome alle cose, si tratta di accettare la presenza del gas naturale come fonte per la transizione energetica e di rivedere l’ipotesi di introdurre una tassa di 60 euro per tonnellata di CO2 prodotta, cosa che metterebbe in seria agitazione il Mittelstand, il potente sistema delle piccole e medie imprese tedesche. Ancora una volta prevale la vocazione al sincretismo di cui si parlava in precedenza: idealisti sì, ma pragmatici. Per questo n on dovrebbero esserci sorprese nell’ultimo passaggio prima del giuramento di Olaf Scholz come nono cancelliere tedesco, che è previsto nella settimana che inizia il 6 dicembre: ogni accordo di coalizione va sottoposto all’approvazione delle basi dei partiti.
L’ultima annotazione riguarda l’inevitabile aria di continuità che si respira tra questo governo e il precedente: Frau Angela, anche se il suo partito ha perso le elezioni, ha comunque consegnato il comando a un proprio fedelissimo, che porterà avanti le politiche iniziate negli ultimi anni, a cominciare da quelle di respiro europeo. Il sostegno finanziario alla transizione ecologica, nel solco della politica del duo Merkel-Scholz, sarà assicurato perché soddisfa i grandi junker industriali, la Mittelstand e i sindacati, anch’essi sempre disponibili a muoversi nel solco, appunto, del “sincretismo tedesco”.
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