Pubblicato su Startmagazine.it il 7 marzo 2021

di Gianni Bessi

Merkel tra Biden, Draghi e la sua eredità politica. Il post di Gianni Bessi, consigliere regionale dell’Emilia-Romagna e autore nel 2020 di “House of zar. Geopolitica ed energia al tempo di Putin, Erdogan e Trump” (goware edizioni)

Dopo 16 anni la Germania cambierà volto. Alle prossime elezioni, previste per il 26 settembre, Angela Merkel non si ricandiderà e, dopo la parentesi di Annegret Kramp-Karrenbauer, è stato da poco eletto leader della CDU il cinquanovenne Armin Laschet. Ma a noi interessa solo ‘das Madchen’ come amava chiamarla il suo mentore Helmut Koll.

La Cancelliera che ha visto passare dalla stanza ovale GW Bush, Obama, Trump e Biden; all’Eliseo Chirac, Sarkozy, Hollande e Macron; e che solo grazie al suo rigore scientifico non ha perso il conto di quanti inquilini di Palazzo Chigi ha conosciuto da Berlusconi a Prodi, a Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte e Draghi. Proprio di Mario Draghi, ex capo della Bce, avremo occasione di parlare. Joe Biden, dopo un insediamento travagliato, è il nuovo presidente degli americani. Mentre dal Cremlino l’inamovibile Putin, così come l’ha accolta, la saluterà da Presidente della Federazione Russa. Tanto per avere un’idea della profondità temporale del regno della Cancelliera.

Anche per meglio cogliere la portata del suo lascito, lo scorso anno abbiamo viaggiato nel suo semestre di presidenza dell’Unione europea. E abbiamo avuto la conferma che per quanto i tedeschi ci amino, la differenza tra le nostre culture li rende spesso diffidenti. Eppure non possono fare a meno di noi, in particolare la loro filiera produttiva, da quella controllata dagli junker della grande impresa fino all’apparato altrettanto potente della Mittelstand (le medie imprese). Nonostante qualche tiepido tentativo di sostituirci con la manifattura cinese, non possono fare a meno della competenza e della qualità del made in Italy.

“Chissà che sarà di noi” cantava Battisti e la domanda non potrebbe essere più attuale. Dopo la politica isolazionista di Trump, il mandato di Joe Biden si profila all’insegna dell’apertura al mondo e ritrova l’Europa come alleata d’elezione.

E l’Italia, luogo di villeggiatura privilegiato della Merkel, sarà sicuramente protagonista nella costruzione o ricostruzione di questa sinergia.

Innanzitutto il Bel Paese ospiterà e presiederà il G20 a fine ottobre ma il 21 maggio sarà anche sede del Global Health Forum. Al vertice finale del G20 probabilmente sarà presente il cancelliere che uscirà dalle elezioni tedesche di settembre, ma siamo sicuri che Angela Merkel sia nella preparazione degli snodi chiave del G20 sia soprattutto al summit della salute, avrà modo di confrontarsi con il nuovo Potus americano proprio per definire il coordinamento globale della vaccinazione contro il Covid-19 ma anche la lotta alle diseguaglianze economiche e sociali e alle tante tensioni dell’ordine mondiale.

La Cancelliera uscente sarà contenta che questo finale di agenda avrà come scenario proprio la sua amata Italia; e sarà l’occasione di incontrare, nei panni del presidente del consiglio, Mario Draghi, una personalità con cui ha diverse affinità ma anche, per certi versi, “un vecchio amico”. E tra le affinità c’è al primo posto l’avversione a comunicare attraverso i social.

Inoltre Mario Draghi è rispettato nel mondo e temuto dai tedeschi – così è stato detto di lui. Da presidente della Bce ha agito da argine alle spinte meno moderate che coesistono nel sincretismo tedesco, in bilico tra ispirazioni cristiano-democratiche, valori socialdemocratici e istanze (anche rigide) dell’ordoliberismo.

Un compito che, sul fronte interno, è stato la stella polare di Angela Merkel e che ci rivela un’altra sfumatura delle affinità e del rispetto che esiste fra i due.

Tra Principi ci si capisce, scherza Filippo Onoranti, mio compagno di viaggio in quest’avventura. La sostanza della politica non cambia: oggi parliamo di mediazione e di opportunità da cogliere, continua Filippo pescando dal suo bagaglio perfezionato alla Pontificia Università Lateranense, quando in altri tempi si trattava di capacità di assecondare il corso della fortuna. E la sfida è ancora temperare i bisogni individuali e quelli collettivi. Da un lato l’individualismo caratteristico dell’anglosfera e una concezione dello stato che sogna la miniarchia. Dall’altro l’esigenza, collettiva come poche altre, di arginare l’infezione pandemica.

La Merkel, sempre nel solco del sincretismo, lascia due gendarmi di provata fede europeista e di spirito internazionale a presidiare il fronte europeo: la prima presidente tedesca della commissione Ue, Ursula von der Leyen, e Christine Lagarde alla presidenza della Bce, rappresentante francese per rispettare la tradizionale socio/rivalità con la Germania nella governance europea.

Tutte e due sono chiamate a presiedere la sua più preziosa eredità, su cui ha posto tutto il peso della Germania, quella di condividere per la prima volta a livello europeo il debito comune per dar forza al progetto del Next Generation Ue e risollevare l’economia del continente dalle conseguenze da una pandemia che non intendere regredire.

Un altro elemento, che sempre la situazione pandemica continua a mantenere sotto pressione, è la politica europea in materia di difesa. Da un lato l’indipendenza strategica evocata a più riprese da Macron, dall’altro le inevitabili esigenze di collaborazione internazionale. Senza Trump il virus del protezionismo isolazionista è in via di guarigione, ma i sovranismi nostrani non sono del tutto superati. E non mancano neppure in Germania visti i consensi di Alternative für Deutschland e della sua leader Alice Elisabeth Weidel.

La Merkel, proprio nelle ultime fasi del suo mandato, ha tentato – con abilità psicologica oltre che strategica – di spostare le istanze muscolari sul tema della “sovranità” scientifica e tecnologica.

La tragedia innescata dalla crisi pandemica può almeno fungere da cartina di tornasole per leggere i confini del nostro mondo, impegnato nello sforzo di diventare globale.

Così da un lato l’anglosfera capitanata da Joe Biden e Boris Johnson, che sebbene orfano di Trump non cambia la sostanza del suo approccio alla soluzione della pandemia: dopo averla talvolta persino irrisa, ha prima riconosciuto i propri errori e poi proceduto a istituire per le operazioni di vaccinazione una logistica paramilitare che ricorda lo sbarco in Normandia. Per la serie “le domande solo alla fine”…

Su tutt’altro fronte si muove la nostra Europa, determinata nell’applicare il principio di precauzione, oggi noto ai più perché applicato alle questioni ambientali, ma radicato nella tradizione della burocrazia di ispirazione weberiana e del centralismo napoleonico francese, due elementi fondanti del nucleo dell’Ue. Risultati almeno per ora? Per la serie ‘i giudizi solo alla fine’…

Tutti e due questi modelli devono confrontarsi con una terza visione: quella eurasiatica. In questa drammatica partita le democrature sino-russe procedono in maniere meno trasparenti a debellare il virus; ma all’apparenza anche più efficiente.

Come questa vicenda ci avrà cambiati noi non lo sapremo, ma i nostri figli lo scopriranno. Le opportunità sono molte e ricche; almeno quanto il Next Generation EU e la socializzazione del debito, per quanto ci sarà concesso. Tutte occasioni per agire “di fatto” come una federazione di Stati, quella stessa che i padri costituenti della Comunità Europea hanno immaginato potesse nascere dalla cornice di un accordo economico, che si è evoluta attraverso la moneta unica e che potrebbe – forse – reagire alla più grande sfida dal dopoguerra con una costituente europea.

E Angela Merkel cosa farà? Se ci sarà la possibilità sicuramente la vedremo più spesso in villeggiatura nel Bel Paese, come è sua abitudine. Comunque, alla fine del nostro viaggio, riteniamo che la nostra amata Europa potrebbe avere bisogno ancora di Das Madchen.