di Gianni Bessi
pubblicato su Economia Finanza Il Messaggero.it il 21 luglio 2015
Il presidente del Consiglio ha annunciato per il 2016 una riduzione delle imposte sulla proprietà immobiliare pari a 5 miliardi di euro, un ‘taglio’ che per le prime case ammonterebbe a 3,5 miliardi. È una notizia importante perché testimonia della volontà di invertire il cammino e, finalmente, alleggerire la pressione fiscale.
Come sempre la possibilità di concretizzare il provvedimento riguarda la sua ‘copertura’, nel senso che lo Stato dovrebbe reperire risorse per bilanciare il mancato gettito dell’Imu. Molte sono le ipotesi circolate in questi giorni, ma ce n’è una che a mio parere sarebbe particolarmente efficace, perché permetterebbe di ‘fare cassa’ e sostenere lo sviluppo. In sintesi, si tratterebbe di seguire il ‘modello norvegese’ e utilizzare un fondo sovrano italiano da costituire appositamente.
In gioco ci sono cifre imponenti, in grado di sostenere la ripresa e di aumentare la capacità dello Stato di intervenire sulla pressione fiscale. Quello norvegese è il fondo sovrano più grande del mondo, ben più consistente di quelli dei sultanati o delle ‘tigri dell’est’. Mi hanno fatto riflettere le dichiarazioni di Oysten Olsen, governatore della Banca di Norvegia e numero uno del Fondo, che lo scorso aprile in occasione del seminario promosso dalla Federazione delle banche, nella sede dell’Abi, ha illustrato una serie di dati che dimostrano come il ritorno reale degli investimenti del Fondo sovrano norvegese negli ultimi anni è stato del 4 per cento.
Il Fondo è alimentato dai proventi dell’estrazione del petrolio e del gas norvegese per un valore complessivo di 820 miliardi di euro e un patrimonio investito al 60% in azioni, al 35% in reddito fisso e al 5% nel settore immobiliare. Il 39% dei suoi investimenti globali è destinato all’Europa, il 39% al Nord America, il 17,5% all’Asia e il 4,5% nel resto del mondo. In Italia, ha aggiunto il governatore della Banca centrale di Oslo, il Fondo possiede il 2,6% di quote societarie, contro un 2,4% della media europea. Questi 800 miliardi di capitale, che rende appunto il 4% all’anno, cioè circa 32 miliardi, è completamente dedicato al sostegno della spesa pensionistica futura dei circa 5 milioni di abitanti del paese scandinavo.
Trasferendo il modello norvegese all’Italia, una stima prudenziale sui nuovi investimenti relativi all’estrazione di gas oltre le 12 miglia potrebbe generare proventi di circa 2 miliardi di euro all’anno. L’Italia ha bisogno di energia, come ogni Paese moderno e sviluppato, ma è anche in grado di produrla: lo ha ricordato l’amministratore di Eni, Claudio Descalzi, intervenendo a un convegno dell’Aspen Institute «in base agli studi si può raddoppiare la produzione nazionale con investimenti di 15-18 miliardi. Penso che con le nuove regole, potremo farlo».
Il nodo cruciale è che se riuscissimo ad alimentare il fondo sovrano italiano con le risorse prodotte da nuovi investimenti nel settore energetico, il governo sarebbe in grado di mettere in cassa risorse finanziarie da utilizzare per sostenere il welfare, come fanno i norvegesi, o appunto il taglio delle imposte. Considerate le dichiarazioni del Presidente del consiglio e il momento di particolare sensibilità dei cittadini per la pressione fiscale – che è fra le più alte in Europa – ritengo che le risorse provenienti dalle estrazioni potrebbero essere davvero la soluzione migliore per produrre un taglio della fiscalità riguardante l’abitazione principale.
Si tratterebbe di realizzare un grande intervento pubblico-privato sul settore energetico: la produzione di energia è anche produzione di ricchezza, che porta con sé altri effetti virtuosi, il mantenimento di un ruolo di primo piano in un settore strategico e il sostegno all’occupazione.
Il Presidente del consiglio ha annunciato per il 2016 una riduzione delle imposte sulla proprietà immobiliare pari a 5 miliardi di euro, un ‘taglio’ che per le prime case ammonterebbe a 3,5 miliardi. È una notizia importante perché testimonia della volontà di invertire il cammino e, finalmente, alleggerire la pressione fiscale. Come sempre la possibilità di concretizzare il provvedimento riguarda la sua ‘copertura’, nel senso che lo Stato dovrebbe reperire risorse per bilanciare il mancato gettito dell’Imu. Molte sono le ipotesi circolate in questi giorni, ma ce n’è una che a mio parere sarebbe particolarmente efficace, perché permetterebbe di ‘fare cassa’ e sostenere lo sviluppo. In sintesi, si tratterebbe di seguire il ‘modello norvegese’ e utilizzare un fondo sovrano italiano da costituire appositamente.
In gioco ci sono cifre imponenti, in grado di sostenere la ripresa e di aumentare la capacità dello Stato di intervenire sulla pressione fiscale. Quello norvegese è il fondo sovrano più grande del mondo, ben più consistente di quelli dei sultanati o delle ‘tigri dell’est’. Mi hanno fatto riflettere le dichiarazioni di Oysten Olsen, governatore della Banca di Norvegia e numero uno del Fondo, che lo scorso aprile in occasione del seminario promosso dalla Federazione delle banche, nella sede dell’Abi, ha illustrato una serie di dati che dimostrano come il ritorno reale degli investimenti del Fondo sovrano norvegese negli ultimi anni è stato del 4 per cento.
Il Fondo è alimentato dai proventi dell’estrazione del petrolio e del gas norvegese per un valore complessivo di 820 miliardi di euro e un patrimonio investito al 60% in azioni, al 35% in reddito fisso e al 5% nel settore immobiliare. Il 39% dei suoi investimenti globali è destinato all’Europa, il 39% al Nord America, il 17,5% all’Asia e il 4,5% nel resto del mondo. In Italia, ha aggiunto il governatore della Banca centrale di Oslo, il Fondo possiede il 2,6% di quote societarie, contro un 2,4% della media europea. Questi 800 miliardi di capitale, che rende appunto il 4% all’anno, cioè circa 32 miliardi, è completamente dedicato al sostegno della spesa pensionistica futura dei circa 5 milioni di abitanti del paese scandinavo.
Trasferendo il modello norvegese all’Italia, una stima prudenziale sui nuovi investimenti relativi all’estrazione di gas oltre le 12 miglia potrebbe generare proventi di circa 2 miliardi di euro all’anno. L’Italia ha bisogno di energia, come ogni Paese moderno e sviluppato, ma è anche in grado di produrla: lo ha ricordato l’amministratore di Eni, Claudio Descalzi, intervenendo a un convegno dell’Aspen Institute «in base agli studi si può raddoppiare la produzione nazionale con investimenti di 15-18 miliardi. Penso che con le nuove regole, potremo farlo».
Il nodo cruciale è che se riuscissimo ad alimentare il fondo sovrano italiano con le risorse prodotte da nuovi investimenti nel settore energetico, il governo sarebbe in grado di mettere in cassa risorse finanziarie da utilizzare per sostenere il welfare, come fanno i norvegesi, o appunto il taglio delle imposte. Considerate le dichiarazioni del Presidente del consiglio e il momento di particolare sensibilità dei cittadini per la pressione fiscale – che è fra le più alte in Europa – ritengo che le risorse provenienti dalle estrazioni potrebbero essere davvero la soluzione migliore per produrre un taglio della fiscalità riguardante l’abitazione principale.
Si tratterebbe di realizzare un grande intervento pubblico-privato sul settore energetico: la produzione di energia è anche produzione di ricchezza, che porta con sé altri effetti virtuosi, il mantenimento di un ruolo di primo piano in un settore strategico e il sostegno all’occupazione.