Pubblicato su Start Magazine.it il 22 aprile 2019

 

L’approfondimento di Gianni Bessi, autore di “Gas naturale – l’energia di domani”

La Russia non se la deve vedere solo con i duellanti ‘casalinghi’, ma anche con quelli oltre oceano. Se qualche segnale di ‘concorrenza’ nella ferrea disciplina dell’economia russa comincia a emergere, nel campo del grande rivale di questa moderna guerra fredda per l’energia, cioè gli Stati Uniti la regola del business è sempre la stessa codificata dall’articolo quinto: chi ha i soldi ha vinto.

House of zar ha più volte raccontato come grazie alle enormi potenzialità delle produzioni, e con l’utilizzo delle innovazioni tecnologiche, gli Usa stanno duellando con la Russia per il dominio energetico mondiale. Dai campi delle gigantesche Wind Farm del Massachusetts a quelli dove si estraggono shale oil e gas.

Una gigantesca operazione tutta stelle e strisce è stata quella che ha visto Chevron appropriarsi dell’Anadarko Petroleum, altra compagnia statunitense: l’operazione le permette di diventare il leader del bacino Permiano, cioè l’area del sud dove si estraggono le maggiori quantità di shale gas e shale oil. Stiamo parlando di un’operazione che ha visto Chevron staccare un assegno da 50 miliardi di dollari.

Probabilmente il nome Bacino permiano non è molto noto a chi non è un patito di geografia e geologia: in sintesi è un terreno bacino sedimentario con un’estensione considerevole, i cui confini vanno dal Texas al Nuovo Messico. Ed è la più vasta area di produzione di petrolio greggio al mondo, superando anche il precedente primatista, ovviamente saudita, cioè il campo di Ghawa che da cui si estraggono 5 milioni di barili al giorno.

Come riporta The meditelegraph, la settimana scorsa un rapporto di Saudi Aramco, il colosso petrolifero saudita, che si appresta ad andare in Borsa e che dunque deve sottostare alle nuove regole standard della revisione internazionale, ha reso noto che la produzione di Ghawa nel 2018 in realtà è stata di 3,8 milioni di barili al giorno, inferiore a quella, rivelata dal dipartimento all’Energia Usa, di 4,2 milioni di barili al giorno riguardante il bacino Permiano.

Cosa significa la perdita del primato per i sauditi? In realtà non molto perché i dati potrebbero invertirsi a breve e il pozzo nel deserto potrebbe ritornare sul trono della produzione mondiale. Ma ciò che importa è comprendere la profondità dell’operazione di Chevron, che ovviamente fa molto contento Donald Trump ma per la Russia significa la crescita di un pericoloso concorrente. Un duellante agguerrito, oppure.

 

Le previsioni ci dicono che Chevron nel 2025 produrrà 1,6 milioni di barili, superando quella di ExxonMobil e conquistando la leadership per quanto riguarda le estrazioni nel magico bacino.

Due notizie sul Bacino permiano. Si è formato circa 300 milioni di anni fa ed è composto di tre zone principali: il bacino del Delaware, il bacino centrale e il bacino del Midland, che è la discarica dei rifiuti petroliferi della zona. I giacimenti di idrocarburi del Permiano, sotto la roccia, sono sfruttati da oltre cento anni, ma sono diventati la pietra angolare della produzione statunitense solo pochi anni fa.

E giustamente l’agenzia AGI nel dare la notizia del record del bacino Permiano riporta la spiegazione di Andrew Lebow, esperto della società di consulenza Commodity Research Group: «Con la rivoluzione dello shale oil all’inizio del 2000, gli Stati Uniti si sono rivolti prima ai bacini di Eagle Ford e di Bakken, dove il petrolio greggio era più facile da estrarre, ma con i progressi tecnologici del fracking, hanno poi virato nel bacino del Permiano, dove si trovano le principali riserve americane». E con esse la ritrovata indipendenza energetica, ma anche portando gli Usa ad ampliare il suo export.