Scena uno.
Avete mai sognato di trasformarvi in una mosca per intrufolarvi di nascosto in una stanza e assistere non visti a qualche evento storico? Quelli di House of Zar si sono immaginati di svolazzare sul muro della stanza ovale per spiare Donald Trump. Il comandante in capo è pensieroso mentre siede alla scrivania che ha visto, tra i suoi predecessori, anche il generale Eisenhower. Attorno a lui il suo staff, formato quasi interamente da militari o da vertici dei servizi segreti che, riposte nell’armadio le divise piene di medaglie, ora indossano giacca e cravatta, il completo d’ordinanza dii Washington, o meglio della ‘palude’ come ama chiamarla The Donald.
Il tema del giorno, su cui ci si confronta appassionatamente, sono le ultime informazioni dei servizi speciali sull’insediamento di Vladimir Vladimirovič Putin. Parole, simboli, messaggi… e l’attenzione si focalizza sulla prima uscita dello Zar 3.0 di tutte le Russia del 18 maggio. Il luogo? Sochi, l’amata località sul Mar Nero dove incontrerà anche la Cancelliera tedesca, Angela Merkel.
Al Potus piace avere attorno i suoi Strongman, gli ‘uomini forti’ che hanno in tasca curriculum racimolati a West Point o Langley. L’accademia militare l’affascina e suscita ricordi nel Presidente: ma come racconta Michael Wolf nel best seller Fuoco e Furia, Trump difficilmente legge i dossier o ascolta le analisi… si affida al suo istinto. Del resto visto il risultato della campagna elettorale e del primo anno di amministrazione, come dargli torto…
Mentre il suo staff parla i suoi polpastrelli sono nervosi, capta solo alcune parole fuori contesto, Putin, Sochi, summit, Merkel, sembra distratto ma è solo teso perché sta prendendo una decisione veloce che vuole condividere con i suoi tweet o tramite una dichiarazione pubblica, secca e perforante. «Tutto ciò che è political correct non ci appartiene»: sono le parole di Steve Bannon, il capo della sua campagna elettorale che ha messo sottosopra l’establishment. Non è stato Steve, da cui ha divorziato, ad avergli impartito questa lezione, pensa: «ero così anche prima, mi sono sempre comportato così». Oggi, seguendo l’istinto da gambler, vuole impartire una lezione e giocare al raddoppio. Che più o meno ha queste parole chiave: dazi, sanzioni, guerra commerciale, nuova guerra fredda del gas… rilancio. Alla cara – si fa per dire –Germania chiede di rinunciare al North Stream2 se vuole che l’America non s’impunti sui dazi.
Ma è solo una questione di nuova guerra fredda del gas? La mosca sul muro pensa che è anche altro. E questo ‘altro’ anche più importante.
Intanto ci stupiamo che molti si stupiscano della posizione americana.
Ma non è una novità. Il Presidente nel corso di un incontro con i leader Baltici definì Berlino “ipocrita” per il sostegno offerto al progetto Nord Stream2, considerato dalla Casa Bianca un progetto a favore delle entrate russe, mentre la stessa continua a godere dei benefici di essere membro della Nato, con relativo ombrello protettivo contro Mosca (Whitehouse.gov, 3 aprile).
Sulla scia di questa presa di posizione un gruppo bipartisan di legislatori statunitensi ha recentemente scritto a Trump per esortare la sua amministrazione a bloccare Nord Stream2 colpendo le società che ci sono dietro con sanzioni pecuniarie. Il motivo, neanche troppo nascosto, è che gli Usa vorrebbero esportare in Europa il gas naturale che estraggono attraverso il fracking idraulico, ridimensionando il mercato di Gazprom.
Wilbur Ross, che non solo è il Segretario al commercio statunitense ma è anche legato a Trump da vicende professionali, ha suggerito all’Europa di correggere la bilancia commerciale transatlantica nel modo più intelligente possibile, ovverosia acquistando più gas naturale liquido statunitense (GNL). «Non ho mai visto un progetto commerciale così intensamente dibattuto ai massimi livelli della politica europea», ha commentato di recente Maros Sefcovic, vicepresidente della Commissione europea per le questioni energetiche.
La Germania, messa sotto pressione, ha comunque aspettato lo svolgersi delle elezioni nazionali, la conferma di altri 4 anni di governo con i Socialdemocratici della SPD e quindi ha mosso la propria forza diplomatica nella speranza di trovare un accordo che possa evitarle di cadere sotto la mannaia a stelle e strisce. Ha iniziato le danze il ministro degli affari economici tedesco Peter Altmaier, nei giorni precedenti al vertice di Sochi con una agenda di ‘slot’ serrati, incontrando a Kiev il primo ministro ucraino Volodymyr Groysman; poi è volato a Mosca per incontrare il Primo Ministro Dmitrij Medvedev per poi tornare a Kiev. L’intento è convincere gli ucraini della bontà di un compromesso in grado di mitigare l’opposizione alla costruzione del gasdotto Nord Stream2 nel Mar Baltico. Altmaier ha messo sul piatto la garanzia tedesca e dell’UE che il gas continuerà a transitare per il territorio ucraino anche in futuro (è un mercato che porta all’Ucraina 2 miliardi di dollari all’anno).
L’Ucraina ha chiesto che le garanzie siano certificate direttamente da Bruxelles, questione non semplice alla luce delle opposizioni al progetto espresse dalle repubbliche baltiche e dal blocco compatto dei paesi dell’ex Patto di Varsavia. Porošenko, Presidente dell’Ucraina ha quindi esortato la Germania ad abbandonare i piani per costruire Nord Stream2, affermando che equivarrebbe a un “blocco economico/energetico” del suo paese.
Ma le sanzioni, i dazi, le pressioni diplomatiche, e altri stratagemmi non spaventano chi ci è abituato: quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare.