Pubblicato su Startmagazine.it il 28 agosto 2022
di Antonino Neri
La guerra in Ucraina ha aggravato la crisi delle forniture e dei prezzi del gas in Europa. L’intervista di Antonino Neri a Gianni Bessi, consigliere regionale dell’Emilia-Romagna ed esperto di energia
Dopo il tema delle trappole della finanza degli ESG e il ruolo della tassonomia e l’analisi della corsa energetica della Cina, riprendiamo con Gianni Bessi, consigliere regionale e attento osservatore degli scenari geopolitici e degli andamenti del mercato energetico che abbiamo coinvolto in queste settimane di agosto per fare un ulteriore focus sull’energia e le sue criticità, il tema del prezzo del gas naturale e in generale delle materie prime.
Già da prima che iniziasse la guerra in Ucraina, Bessi aveva insistito sul fatto che il gas scarseggiasse e su come il conflitto abbia irrigidito ancora di più il meccanismo delle forniture all’Europa, che Putin ha ridotto e che continuerà a utilizzare come arma di ricatto, giocando come il gatto con il topo. Inoltre i prezzi hanno subito un’escalation e sono arrivati a quasi 300 euro al megawattora, con l’energia elettrica, legata indissolubilmente al prezzo del gas, che viaggia verso i 600 euro al megawattora.
D. Bessi, non più tardi di ieri il Commissario europeo Paolo Gentiloni, ha affermato che la bolletta energetica per famiglie e imprese sta diventando “insostenibile”. Cosa succede adesso?
Ci siamo accorti tutti dell’escalation dei prezzi. Addirittura a fine luglio la quotazione a 190 euro/MWh aveva ovviamente fatto notizia perché sembrava annunciare una tendenza, anche se minima, alla discesa, ipotizzando uno scontato “take profit” prima delle vacanze. Non è successo nulla di tutto ciò. Non punterei il “cannocchiale della curiosità” solo sul costo della bolletta di aziende o famiglie, ma su cosa può accadere – e accadrà – agli operatori del mercato della ‘fornitura’ di gas. Questo è un punto che mi sembra trascurato.
È bene ricordare alcuni elementi legati al prezzo del gas e all’andamento del mercato elettrico: la produzione elettrica supera di poco il 20% del fabbisogno nazionale di energia, con il gas, che pure ne copre circa il 40%, che influenza la dinamica del costo del MWh, perché quest’ultimo viene definito sul marginal price.
D. Sul fronte dell’emergenza gas la Germania ha appena approvato una tassa per “salvare” Uniper, il principale fornitore di gas delle famiglie tedesche, che registra perdite enormi, oltre 12 miliardi di euro in pochi mesi. La decisione tedesca è un campanello d’allarme anche per l’Italia?
Certo. Anzi bisogna monitorare ed essere pronti a intervenire. Uniper è un precedente utile a capire quello che potrebbe accadere durante il prossimo inverno, visto che a parte i big player (Eni, Enel e pochi altri) che si approvvigionano sui mercati internazionali o che hanno in vigore contratti di lungo periodo, non ci sono operatori e trader disposti a vendere gas a chi pure è disposto ad acquistarlo. Persino le municipalizzate sono a rischio di non trovare più gas da fornire ai propri clienti. Del resto la mancanza di gas è una situazione certificata dall’ultima delibera di Arera del 29 luglio, dove si sottolinea che “la forte incertezza circa la disponibilità effettiva di un’adeguata offerta di gas naturale per il prossimo anno unitariamente a un prezzo elevato…”. E a questo si aggiunge che l’espansione della capacità di importazione di GNL in Europa non può arrivare abbastanza velocemente: a maggio gli analisti rilevavano ancora che esiste un gap consistente nei prezzi tra il gas rifornito via gasdotto e il GNL. E ciò è dovuto alla mancanza di capacità operativa nei terminali a fronte dell’aumento consistente di importazione. Insomma, oltre ad avere tagliato la nostra produzione di gas nazionale, che è avvenuta sotto tutti i governi, a qualsiasi guida, oggi mancano i rigassificatori.
D. Lei ha ragione. Arera ha lanciato l’allarme per bocca del presidente Stefano Besseghini. Qual è lo scenario in cui ci si sta muovendo?
Besseghini ha spiegato che esiste un effetto domino sulle dinamiche della disponibilità di gas. Questo potrebbe mettere in difficoltà i trader, che potrebbero trovarsi nella condizione di non potere fare fronte alle richieste dei clienti e finire in default. Le risoluzioni dei contratti di bilanciamento o di distribuzione degli operatori, come anche per un aumento della morosità dei clienti, porterebbero, come ha spiegato Besseghini, a un aumento dei costi, che finirebbe per pesare sui clienti finali. In questo caso scatterebbe, come prevedono le regole, una sorta di “socializzazione degli oneri” che renderebbe ancora più pesante il conto che arriva in bolletta per i consumatori.
D. Una situazione che, pare di capire, penalizzerà soprattutto gli utenti
È evidente. Il punto debole della catena sono gli utenti della distribuzione non attivi sulla rete Snam e i reseller, chi opera solo come società di vendita del gas. Se questi non hanno le spalle larghissime a livello finanziario o se i prezzi non rientrano, il prossimo inverno sono destinati a scomparire, un fenomeno già iniziato quest’anno, anche in Italia. E alla fine i loro clienti, nell’ipotesi migliore per loro, si sposteranno verso i big players oppure, questa è l’ipotesi peggiore, si dovranno affidare alla fornitura di ultima istanza. In questo caso i clienti, soprattutto le imprese industriali, si troverebbero a sopportare un prezzo ancora più caro per il gas, visto che le forniture di ultima istanza pagano il costo del mercato tutelato più una sorta di spread.
D. Pare di capire che non esista una sola causa specifica dell’aumento dei prezzi del gas
La crescita dei prezzi, arrivati a livelli assurdi, di questi giorni, anzi di questi mesi, è dovuta sicuramente a una componente finanziaria che influenza gli scambi. Ma il gas è un mercato fisico dove la materia va prima consegnata e quindi vanno chiuse, cioè bilanciate, le posizioni, fisiche o finanziarie. Con le notizie degli ultimi giorni è probabile/possibile che gli operatori che non avevano ancora approvvigionato tutte le quantità per agosto, pensando che i prezzi avessero raggiunto il picco e che da quel punto in avanti la situazione sarebbe stata più rilassata, si sono trovati costretti a comprare quasi a qualsiasi prezzo, innescando quindi l’impennata dei prezzi. Insisto sul ruolo della “componente panico”, il “prezzo della paura”, provocata da una scarsa spare capacity, perché è un dogma che se aumentata serve per invertire la spirale rialzista dei prezzi continua ad avere un suo peso.
D. Qui si inserisce la richiesta di un price cap: dopo che Mario Draghi lo ha proposto è finito in tutte le proposte dei partiti…
Oggi o domani… sembra di essere in “Aspettando Godot” di Beckett, con il ragazzo che si presenta in scena continuando a ripetere che Godot “oggi non verrà, ma verrà domani”… Forse aveva senso 6 mesi fa quando lo propose Draghi. I partner europei si dimostrarono freddini. Ognuno pensava di ‘cavarsela’ da solo. A mio avviso non si è colta l’occasione di affrontare la crisi energetica con lo stesso approccio usato per la pandemia da Covid. L’energia è un bene primario da cui dipende la stessa tenuta delle nostre economie e del nostro tessuto sociale. Se questo è vero bisogna sottrarre l’energia ai giochi del mercato e della speculazione. Oggi possiamo dire che siamo tutti sulla stessa barca e che dovremmo attivare risposte comuni, se necessario anche drastiche, centralizzando il ruolo dello Stato e degli Stati europei come garanti degli acquisti della risorsa a monte. Intanto oggi possiamo solo aumentare la nostra capacità di ricezione e bloccare le capacità di carico a livello internazionale. Il Governo Draghi e Eni stanno lavorando bene per le alternative al gas russo con gli accordi della cosiddetta via africana, Algeria, Congo, angola e il bacino di Zohr e del Leviathan nell’est med ..ecc. ma servono infrastrutture. Rigassificatori, rigassificatori, rigassificatori e , scusate la superficialità, le bombole via camion se servono…
D. Sta prospettando una situazione difficile e complicata…
L’incertezza è un pericolo. E sulle criticità di operatori e fornitori in questo contesto di incertezza spuntano quelli che si infilano tra le pieghe del sistema lucrando sia sulla parte finanziaria sia sui clienti: alla fine, quando non hanno il gas, scaricano questi ultimi sul sistema per poi riprenderseli e quindi tornare a scaricarli e così via fino a che è passata la nottata. E come ne escono? Il loro rischio è zero perché incamerano comunque qualche profitto tra incassi e pagamenti. È importante perciò non limitarsi a denunciare il rischio di una mancanza di gas o il problema dei prezzi alti per l’utente finale, ma anche che le autorità vigilino su questo fenomeno.
D. Nemmeno il buon andamento degli stoccaggi basta a rassicurarLa?
Il ministro Roberto Cingolani ha affermato più volte che in Italia dobbiamo stare tranquilli perché gli stoccaggi sono pieni al 70-75 per cento e quindi siamo messi meno peggio di altri paesi. Non ho ragione di mettere in dubbio le sue parole, così come mi fido di chi ogni giorno lavora con dedizione e prendendosi rischi immensi per garantirci che il sistema regga. A loro va il mio ringraziamento. Però gli stoccaggi coprono solo un quarto circa della domanda e se il flusso dalla Russia cala fino a zero, o quasi, allora bisogna fare bene i conti perché questo inverno la situazione diventerebbe complessa, come ha ammesso lo stesso Mario Draghi. Programmare in questo momento è difficile perché siamo in mezzo a una campagna elettorale dove tutti propongono strategie future che coccolano gli egoismi territoriali o, peggio, sussidi per ogni cosa. Insomma, la realtà ci rimetterà presto con i piedi per terra e non escluderei che ci possano essere razionamenti. Una sorta di lockdown da pandemia energetica.
D. A questo punto la domanda più difficile: che fare?
Oltre a riempire gli stoccaggi, vanno chiusi i contratti e velocizzata l’installazione dei rigassificatori. E poi va combattuta questa assuefazione all’impatto dei rincari per energia e materie prime. Bisogna mettere in campo la possibilità di prolungare e incrementare il credito d’imposta per le imprese che hanno subito consistenti rincari.
D. Ma basterà?
C’è un altro tema da affrontare: se non “stabilizziamo” l’andamento della componente dei prezzi del petrolio e del metano sia per produzione energia sia, e io dico soprattutto, come materia prima per il sistema produttivo, non sterilizzeremo mai l’inflazione o quantomeno non potremo raffreddarla. E crolleranno anche le vendite dei beni di largo consumo. A seguire poi crollerà la fiducia, facendo saltare il banco. È meglio quindi lavorare per ridurre l’impatto dei costi sulle imprese, in modo da passare la fase critica e impendendo che muoiano i consumi. Però per farlo ci vogliono, come sempre, i soldi. Il resto, come spesso accade, è solo conversazione. Per questo serve un coordinamento europeo in stile ‘pandemia Covid’.
(Articolo pubblicato su Energia Oltre)