Pubblicato sul il Mattino e il Mesaggero l’8 giugno 2022
di Gianni Bessi
Tempi troppo stretti per la transizione all’elettrico,, industria nazionale in affanno
Restano irrisolti i nodi del potenziamento delle reti e dello smaltimento delle batterie
L’ANALISI
ROMA L’elettrico è la tecnologia che più di tutte dovrebbe rivoluzionare i trasporti, privati e commerciali, aiutandoci a vincere la sfida dell’inquinamento, o almeno a minimizzarne gli effetti. Tutto semplice? In realtà, nonostante abbia molti partigiani pronti a dimostrare che la strada è imboccata e non ci resta che percorrerla, anche tenuto conto che l’Europa ha in discussione il divieto di vendita per il 2035 dei veicoli con motore a scoppio, ci sono elementi di criticità non irrilevanti. Qualche mese fa i presidenti delle articolazioni territoriali di Confindustria del Nord, dove l’industria dell’automotive e della componentistica ha la sua “valley”, avevano lanciato un allarme. A rischio, avevano detto, ci sono 70 mila posti di lavoro. Quella del 2035, insomma, è stata bollata come una data «inattuabile» allo stato dell’arte. Serve più tempo. Ma su questo, almeno fino ad ora, l’Europa è stata sorda. La transizione dal diesel all’elettrico, avrebbe bisogno di un’analisi più approfondita. E pacata. Cominciamo dalla possibilità di risparmio che una vettura elettrica offrirebbe rispetto a una alimentata con una combustibile tradizionale. Argomento verso il quale negli ultimi tempi c’è stato un comprensibile aumento di sensibilità. Per le grandi case i risparmi sono chiari, almeno a un primo esame: le filiere della componentistica e delle subforniture sarebbero più “leggere”, un rapporto di uno a dieci, e ciò porterebbe a una diminuzione dei costi. Aprendo però il problema della filiere-subforniture come quelle della motor valley della pianura padana.
E per i consumatori? Gli incentivi promossi dal Green Deal vanno proprio nella direzione di rendere più appetibile un prodotto che, se non ci fossero, avrebbe comunque ancora un rapporto costi-benefici ancora non conveniente per molte tasche, nonostante la tecnologia stia progredendo e così facendo lo renda via via più adatto a una diffusione di mercato. Detto questo, oggi è possibile immaginare per le elettriche una rivoluzione paragonabile a quella che negli Anni ‘50 ha visto protagonisti proprio i veicoli col motore a scoppio, con le strade “invase” da milioni di auto? Qui ci sono alcuni ostacoli.
GLI OSTACOLI
Prendiamo in esame le batterie: come sa chiunque, col tempo le batterie perdono di efficacia, si scaricano con maggiore frequenza e mantengono più a fatica la carica ottimale. Cosa accadrebbe con un traffico di milioni di auto nelle nostre grandi città o agglomerati urbani europei, che debbono funzionare a temperature variabili e oscillanti fra il caldo dell’estate e il freddo dell’inverno? Inoltre le batterie vanno sostitute, con i conseguenti problemi di smaltimento: la produzione di questa componente è ancora più dipendente dagli Stati che possiedono tra le proprie materie prime i minerali metalliferi e le terre rare: in particolare litio e cobalto, che necessitano nel processo di estrazione l’utilizzo di molta acqua. E anche qui si apre una questione ambientale. E, ironia del destino, fra tali stati c’è proprio la Russia: e tra i motivi dell’invasione c’è proprio il controllo del Donbass e delle sue risorse. L’elemento cruciale, che potrebbe risultare irrisolvibile, riguarda la ricarica e non tanto per i punti di rifornimento, quanto per l’esigenza di avere una potenza generata e una rete adeguata a garantire la fornitura nei momento di picco. Occorre prevedere il caso che la maggior parte dei proprietari di auto elettriche decidano di ricaricarle nello stesso periodo della giornata; a quel punto il sistema di produzione energetica potrebbe andare in grave stress come accade a volte in estate a causa dei condizionatori. Tutto questo non significa che si debba interrompere il percorso verso una maggiore elettrificazione della mobilità, ma che le tempistiche e le modalità forse vanno riviste.
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