Pubblicato su Ottimisti&Razionali il 24 marzo 2021
di Gianni Bessi
Idrogeno e CO2 sono al centro delle discussioni sul futuro energetico, insieme ovviamente al gas naturale, alle rinnovabili e, new entry grazie al neoministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, la fusione nucleare. Molta carne al fuoco, anche troppa direbbe un critico, ma è un segno della vitalità dell’argomento energia. Per conto mio, mi voglio soffermare sull’importanza strategica, purtroppo ancora da alcuni sottostimata in Italia, degli impianti di cattura e riutilizzo della CO2 sulla strada della decarbonizzazione, così come indicato dall’Ue.
Perché quando parliamo di decarbonizzazione e di transizione energetica dobbiamo avere presente che questi sono sicuramente obiettivi irrinunciabili, ma che essi debbono anche garantire una caratteristica fondamentale: debbono generare ricchezza e occupazione per i territori. Parlando quindi di cattura e stoccaggio della CO2, gli investimenti debbono necessariamente avere come obiettivo anche la costruzione di due filiere, una a monte, di efficienza energetica, e una a valle appunto per la cattura di anidride carbonica da destinare ai settori industriali più impattanti, quelli così detti “hard to abate”, come acciaierie, centrali elettriche, cementifici, cartiere, siderurgia, chimica. Sto parlando di settori fondamentali che alimentano il nostro tessuto di piccole e medie imprese, dove brilliamo a livello mondiale grazie alle filiere dell’automotive, dell’aereospaziale, della farmaceutica, ecc. Efficienza energetica significa utilizzare meno energia per portare a termine la stessa attività: i vantaggi sono la riduzione delle emissioni di gas serra e della domanda di importazioni di energia. Uno dei “topic” che sarà al centro dell’OMC 2021 di Ravenna, l’Offshore Mediterranean Conference l’evento mondiale dell’energia del Mediterraneo.
In un interessante report della Goldman Sachs si prende in esame a tutto campo la carbon sequestration, come la tecnologia complementare per raggiungere l’obiettivo emissioni zero a prezzi accessibili, con una riduzione di circa 3mila miliardi all’anno attraverso una combinazione di sequestro e tecnologie di conservazione: le stesse compagnie petrolifere si stanno muovendo in questa direzione, come la ExxonMobil che ha presentato un piano da 3 bilioni di $ per promuovere la carbon capture and storage nei prossimi 5 anni.
L’International Energy Agency (IEA) in un recente rapporto (“CCUS in Clean energy Transitions”) ha affermato che cattura, utilizzo e stoccaggio dell’anidride carbonica dovranno costituire un pilastro fondamentale degli sforzi richiesti per azzerare le emissioni nette di gas serra nel corso di questo secolo, mentre in molti paesi, solo per citarne alcuni Regno Unito, Norvegia, Olanda, Stati Uniti e Canada si stanno sviluppando progetti finalizzati a realizzare impianti di CCUS per abbattere le produzioni più impattanti.
Chi sta lavorando da anni a livello industriale su questa filiera, e non solo per quanto riguarda ricerca e sviluppo, è soprattutto Eni.
Non può sfuggire dal mio osservatorio territoriale che una presenza in tale campo di Eni potrebbe oltre al tema ambientale e climatico produrre lo sviluppo di una filiera di servizi industriali di imprese radicate nel nostro Paese e che avrebbe la possibilità di esportare tale esperienza in tutto il mondo.
Ecco come non posso che giudicare molto positivamente il fatto che realtà quali per esempio la ravennate Rosetti Marino si stiano attrezzando per questa sfida. E’ lo stesso fenomeno virtuoso che successe con Enrico Mattei per l’estrazione del gas naturale: la creazione di una filiera italiana che è diventata un’eccellenza nel mondo ed ha garantito per decenni importanti livelli occupazionali di grande qualità e professionalità. Allora il gas naturale aiutava il nostro paese a ridurre l’inquinamento da carbone e da olio pesante, oggi la CCUS aiuta tutto il pianeta a combattere il cambiamento climatico, ma è importante sfruttare questa occasione anche per salvaguardare ed ulteriormente sviluppare quella filiera made in Italy e quei posti di lavoro grazie a questa nuova tecnologia. Credo che anche questo dovrebbe essere un obiettivo della agenda di Draghi e Cingolani.
Ma serve procedere rapidamente. Le indicazioni dell’Ue sono chiare ed hanno dedicato al ruolo dell’industria nel Green Deal un capitolo apposito: idrogeno e CCSU dovrebbero conoscere un rinnovato impegno nel nostro paese, rientrare in uno sforzo di ricerca, sviluppo tecnologico ed efficienza energetica finalizzata a specifici campi, specifici settori, specifiche aree. Nessuna tecnologia efficace va scartata a priori. Quindi i piani regolatori e dei finanziamenti europei, nazionali e regionali vanno resi coerenti, costruendo una sinergia con le possibili e concrete risorse o tecnologie che università, centri di ricerca e aziende possono rendere disponibili entro un arco di tempo coerente.
Questa è la strada, o almeno una delle strade maestre per uscire dalla trappola energetica della società dominata dal Re Petrolio. L’Idrogeno è la svolta chiave per questa trasformazione perché il suo utilizzo permette di ridurre le emissioni più difficili da decarbonizzare (industria, riscaldamento, trasporti pesanti a lungo raggio). L’idrogeno, secondo sempre il report di Goldman & Sachs è l’aggiunta tecnologica più importante e trasformativa per la curva dei costi di decarbonizzazione Carbonomics 2020.
L’ auspicato futuro low carbon può essere raggiunto, certo, ma serve qualcosa in più dal punto di vista degli equilibri mondiali rispetto alla situazione attuale. Nessuno ci può arrivare da solo ed è per questo che serve un’alleanza tra Europa e USA. Le prospettive della transizione energetica e gli investimenti necessari per un sistema energetico low carbon passano da una sfida epocale simile a quella che ha portato allo sbarco sulla luna, con impiego di risorse umane ed economiche straordinarie.
Il prossimo appuntamento per chi è appassionato di questi temi è a Glasgow per la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, dal 1 al 12 novembre 2021: in quell’occasione servirebbe, oltre a documenti di intenti o di impegni, una programmazione esecutiva che riscuota una larga partecipazione, così da concretizzare quella che sarebbe una vera e propria rivoluzione sociale prima che energetica o industriale.