A RAVENNA IL GRUPPO ENI RISCHIA DI PERDERE UN MILIARDO PER LO STOP ALLE TRIVELLAZIONI
Nei giorni scorsi ha avuto risalto la notizia che l’Italia rinuncia al gas di Fortuna Prospect, giacimento interterritoriale che si trova nell’Adriatico.
La Grecia ha già dato le autorizzazioni per la realizzazione di pozzi esplorativi. Non solo la Grecia ma anche Croazia, il Montenegro e l'Albania si sfidano a chi riuscirà a mettere a disposizione più blocchi di mare per l’esplorazione e la produzione di gas naturale. Seguendo poi le rotte del Mediterraneo, troviamo grandi investimenti su aree ricche di opportunità. Libano, Grecia, Israele, Turchia, Egitto, Cipro hanno lanciato gare per l’assegnazione di blocchi offshore.
Può sembrare surreale, ma per un gruppo come Eni che opera in mercati difficili come quello della Libia o della Nigeria, oggi l'Italia è il Paese che rappresenta il più alto rischio.
Nell’articolo di Milano Finaza spiego perché il Presidente Conte dovrebbe incontrare sindacati e imprese per toccare con mano cosa significherebbe bloccare tutte le nuove operazioni nell’Adriatico e non solo.
La mia proposta è che Conte incontri le parti sociali e faccia un tavolo per definire le aree Pitesai in tempi rapidi.
La proposta di aree idonee parte da quelle del piano investimenti di Eni di circa 3 miliardi e mezzo di euro, dal distretto di Ravenna a quello di Gela. Occorre definire subito una road map per favorire in modo responsabile un piano produttivo decennale per limitare ulteriori importazioni e far fronte con il nostro gas al phase out dalla produzione elettrica da carbone. Definire un piano per le rinnovabili per rafforzare il mix energetico con la risorsa del gas naturale e contestualmente definire un piano di decommissioning delle aree improduttive.