Pubblicato su StartMagazine.it il 12 novembre 2019
La proposta di Gianni Bessi, consigliere regionale Pd in Emilia-Romagna e autore del libro “Gas naturale. L’energia di domani” (Innovative Publishing), sull’Ilva di Taranto
La questione Ilva deve essere risolta in fretta, soprattutto perché ci sono migliaia di lavoratori, e le loro famiglie, in attesa di sapere quale sarà il futuro che li attende.
Lo Stato, nessuno Stato, dovrebbe mai lasciare che i propri cittadini vivevano in condizioni come questa. Sarebbe ragionevole analizzare le possibilità di soluzione che non contemplino scelte discutibili.
Non mi tiro indietro e propongo anch’io un’ipotesi, che ha la caratteristica di uscire dal circolo vizioso in cui pare si sia finiti e di tentare un approccio lungimirante. In sostanza si tratterebbe di dividere il problema e di prevedere per ogni elemento una strategia ad hoc.
Nello specifico, per quanto riguarda l’acciaio va recuperata una produzione efficiente, cioè ridimensionando e bonificando il sito produttivo Ilva.
Nello stesso tempo va fatto partire un intervento che trasformi l’acciaieria nella piattaforma italiana di economia circolare, cioè nel sistema di recupero di alcuni prodotti che oggi non vengono trattati perché richiedono strutture adeguate: mi riferisco alle carrozzerie delle auto, che potrebbero essere riutilizzate nella produzione, dei pannelli fotovoltaici, non dimentichiamo che tra pochi anni ci ritroveremo con migliaia di pannelli da smontare e riciclare, delle batterie al litio e molti altri.
Per capirci, il più grande altoforno a livello europeo non è recuperabile in tutta la sua dimensione, anche perché non esiste un player in grado di giocare tutta la partita e la congiuntura non è favorevole, complice il rallentamento dell’industria automobilistica tedesca.
Tuttavia, ribadisco, è fondamentale recuperarne una parte alla produzione di acciaio, cioè uno dei due altoforni a cui affiancare un impianto elettrico alimentato a rottami di ferro (in Italia grazie a Danieli abbiamo a disposizione le migliori tecnologie mondiali).
Questo tipo di produzione consentirebbe di favorire il progressivo recupero-riconversione e di sviluppare anche altre attività. Una per tutte, quella legata alla produzione di energia rinnovabile: proprio di fronte a Taranto sorgerà la prima wind farm del Mediterraneo, cioè il primo impianto offshore per produrre energia dal vento.
Quale sarebbe il beneficio di avere una piattaforma di questo tipo? Intanto che potremmo ridurre drasticamente le emissioni, poi permetterebbe di recuperare suolo e soprattutto materiali. Ovviamente un progetto di questo tipo ha bisogno di risorse per essere realizzato: l’idea è di utilizzare Cassa depositi e prestiti, e i fondi ex Riva, come fonte di investimento, mentre le imprese specializzate italiane dovrebbero contribuire con il know how.
Cdp sarebbe proprietaria dei siti, con appropriata schermatura su possibili responsabilità ambientali, e andrebbero costruite partnership pubblico private con le imprese che vogliono starci, a cominciare dai nostri champion national, ovvero le aziende a partecipazione pubblica, ma coinvolgendo anche le multiutility. Perché l’economia circolare funzioni un servizio pubblico efficiente è un elemento indispensabile.
Tutto questo, ovviamente, se rispondiamo affermativamente a due domande: se ha un senso salvare l’Ilva e se il Paese ne ha bisogno per lo sviluppo del sistema manifatturiero. Personalmente non ho dubbi: l’Ilva va rilanciata guardando allo sviluppo industriale italiano in chiave sempre più green e che si incardina nel tessuto industriale del Nord, in particolare nel triangolo economico Italiano formato dalle regioni locomotiva del pil Made in Italy: Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. E non è solo il settore manifatturiero che ne beneficerebbe, perché l’Italia ha anche un sistema di indotto nei campi automotive e meccanico che vive di acciaio. E ha imprese significative nella trasformazione: lo stabilimento Marcegaglia di Ravenna è uno dei tanti esempi di successo.
L’Ilva va salvata, quindi, ma non lasciandola com’è adesso. L’operazione di riconversione avrebbe la virtù di dare una spinta all’economia circolare, una scelta di sviluppo che va fatta e presto, di salvare l’occupazione e di mettere in pista un investimento lungimirante, di respiro europeo. Questo progetto che ho sintetizzato è l’alternativa ragionevole di fronte alle rivendicazioni o agli interessi di parte, tra cui anche quelli del governo. E sarebbe un tassello importante di quel piano industriale del Paese di cui da tempo io, ma non solo, rivendico l’importanza e che ridarebbe slancio alla nostra economia.