Pubblicato su Startmagazine.it il 5 novembre 2019
di Giusy Caretto
Come funziona la tassa sulla plastica. La revisione in corso del governo dopo le polemiche delle società del settore (come Ima, Mapei, Novamont, Versalis e non solo). Le parole del ministro Costa e le correzioni auspicate da Bessi. L’approfondimento di Giusy Caretto
Fare casse e cambiare le abitudini di consumo, rendendole più sostenibili possibili. È questo l’obiettivo della tassa sulla plastica, il tributo comparso a sorpresa nella legge Bilancio e tra le più criticate del momento. Se dovesse essere approvata così come pensata, infatti, metterebbe in ginocchio un settore che conta numeri importanti e, soprattutto, l’Emilia Romagna, dicono i critici.
Nelle prossime ore si lavorerà ad alcuni correttivi, studiando un modo perché la nuova tassa sulla plastica impatti il meno possibile sulle aziende (e sulle famiglie di conseguenza).
I PRODOTTI COLPITI DALLA PLASTIC TAX
Partiamo dal principio, dal tributo così come lo si ritrova nella legge di Bilancio (qui i dettagli). Si tratta di una tassa sui cosiddetti “Macsi”, ovvero i manufatti in plastica con singolo impiego e inciderà 1 euro al chilo di materia plastica contenuta nei prodotti.
Tra gli oggetti che rientrano nel raggio d’azione dell’imposta ci sono contenitori in tetrapack per alimenti, contenitori per detersivi, imballaggi in polistirolo, pellicole, rotoli, tappi, etichette. Restano fuori le siringhe usa e getta, taniche e secchi per trasportare liquidi.
I NUMERI DEL SETTORE
Prodotti numerosi, la cui produzione si concentra, secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore, in Emilia Romagna, e tra Bologna e Modena in particolare. Qui si contano: 230 imprese, oltre 17mila occupati e 5 miliardi di euro di fatturato annuo, che la tassa sulla plastica intaccherebbe.
E tra i più preoccupati per l’introduzione dell’imposta, infatti, c’è il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini (Pd), in vista delle regionali dove sarà sfidato dal centrodestra a trazione Lega.
LE AZIENDE PIÙ COLPITE
Ma quali sono le aziende colpite? Tra i nomi ci sono quelli di Versalis, Radici, Polynt, Novamont, Sadepan e Fluorsid. E ancora, come riporta Energia Oltre, toccati dalla tassa sulla plastica sarebbero anche la famiglia Vacchi, industriali bolognesi cui fa capo la multinazionale del packaging Ima, e la Mapei, la Lechler, la Icr (Industrie chimiche reggiane) e così via.
BESSI: BISOGNA VALUTARE BENE IMPATTO TASSA
“Occorre su plastic free non portare il dibattito su un Sì o un No ideologici, ma valutare l’impatto della tassa sull’intero processo produttivo del sistema Italia. Occorre valorizzare la dimensione del riciclo, sulla logica di selezione dei beni su cui applicare l’onere. Non è un’idea sostenibile penalizzare plastiche o usi che danno luogo a importante riciclo”, dice Start Magazine, Gianni Bessi, consigliere regionale Pd in Emilia-Romagna e autore del libro “Gas naturale. L’energia di domani” (Innovative Publishing).
SERVE PIANIFICAZIONE
“Il periodo di transizione? Occorre pianificare ma sopratutto programmare – aggiunge Bessi – le azioni che col tempo permettano di ottenere la riduzione della domanda di materia vergine e dunque dei volumi in circolazione e quelli da smaltire e come favorire una corretta transizione. Occorre valutare bene nella manovra di non penalizzare le fasce sociali che invece dovremmo tutelare: gli diamo il cuneo fiscale e poi alziamo i prezzi dei beni che consumano?”.
“Resto dell’idea che il governo debba da subito coinvolgere i protagonisti che operano sul campo industriale, dell’innovazione e tutte le forze sociali per trasformare la parola “ambiente” più che in uno slogan in una spinta a investimenti tecnologici per consentire una economia circolare concreta e non un pretesto per aumentare le imposte su prodotti e beni considerati dannosi per l’ambiente. E contemporaneamente nello stesso modo si lavori per una transizione energetica dalle fonti fossili che affianchi il gas naturale a quelle rinnovabili graduale nel tempo, e non rapida e dirompente che esponga il Paese solo a maggiori importazioni”, conclude Bessi.
LA PREOCCUPAZIONE DI CONFINDUSTRIA EMILIA
“Confindustria Emilia Area Centro è fermamente contraria all’introduzione della Plastic Tax immaginata dal Governo nella Legge di Bilancio, una tassa che va a colpire in modo particolare il territorio emiliano-romagnolo, culla della Packaging Valley, che ospita il maggior numero di aziende del comparto in Italia, 230 con oltre 17.000 occupati e un fatturato annuo di 5 miliardi di euro, pari al 63% del giro di affari nazionale”, ha tuonato il presidente di Confindustria Emilia, Valter Caiumi, aggiungendo: “In tutta Europa, dalla Francia alla Germania, sono stati attivati piani a cinque anni di incentivi all’utilizzo della plastica riciclata, per stimolare innovazione e ridurre l’impatto della plastica non riciclata entro il 2025”.
CORRETTIVI ALLO STUDIO
Per aiutare le aziende che rientrano nel raggio d’azione della nuova imposta il Governo è a lavoro su diversi possibili correttivi.
“Vogliamo rendere ancora più efficaci e sostenibili queste misure riducendo eventualmente l’impatto”, ha detto il premier Giuseppe Conte, rispondendo alle critiche.
UN INCENTIVO ALLE IMPRESE?
Il primo correttivo prevede la possibile introduzione di incentivi economici che possano aiutare le diverse imprese a far fronte alle spese di acquisto di macchinari e competenze necessarie a concentrare la produzione su prodotti riciclabili. Una specie di incentivo alla “Industria 4.0”, per intenderci.
NUOVI CONFINI?
Una seconda modifica allo studio, invece, prevede la possibilità che vengano fissati nuovi confini dell’imposta, escludendo dal pagamento della tassa, per esempio, i prodotti con percentuali di materia prima riciclata sui manufatti davvero monouso.
NUOVO VALORE DELL’IMPOSTA?
La terza ipotesi allo studio, invece, prevede la riformulazione del valore della tassa, oggi fissato un euro al chilo. Il costo dell’imposta, infatti, lamentano i produttori, arriverebbe a raddoppiare i costi di produzione (pesando anche sui conti delle singole famiglie). Si tornerà all’ipotesi originaria elaborata dalla Lega che prevedeva 20 centesimi al chilo? Difficile dirlo, il Governo deve fare cassa.
IL GETTITO
La tassa, così come è stata pensata, porterebbe nelle tasche dello Stato un miliardo nel 2020, circa 1,8 miliardi nel 2021 e 1,720 miliardi di euro l’anno a decorre dal 2023. Un gettito che non può essere ignorato, dunque, nei saldi di finanza pubblica.
UN INCONTRO CON LE AZIENDE
Il governo comunque vuole un punto di incontro tra la necessità di fare cassa e il mettere in ginocchio un intero settore. Ed è per questo che il ministro dell’Ambiente Sergio Costa a Il Fatto quotidiano oggi ha detto: “Incontrerò sicuramente le imprese e ci confronteremo. Il punto principale è che la plastic tax non deve essere una tassa per fare cassa, ma una tassa di scopo, finalizzata alla riconversione dei materiali. Per questo, penso che la norma possa essere ulteriormente migliorata in Parlamento”.
AUMENTARE IL CREDITO DI IMPOSTA’
Come? “Aumentando ulteriormente il credito d’imposta. Oppure prevedendo incentivi per le aziende che rinnovino tutta la filiera produttiva per renderla sostenibile a livello ambientale. Le risorse si possono prendere dai tagli ai sussidi ambientalmente dannosi. Se un’impresa riconverte tutto, la plastic tax diventa a costo zero. E non si perderà un solo posto di lavoro”, ha anche aggiunto il ministro in quota M5s. “Troveremo l’intesa con le imprese sulla tassa sulla plastica, lavorando assieme a loro anche sui decreti attuativi”.