di Giusy Caretto
L’approfondimento di Start Magazine
Diciamocelo, lo stop alle trivelle contenuto nel programma di Governo non cambia nulla. Le nuove concessioni, quelle di cui parla il programma, in realtà non vengono già rilasciate sul nostro territorio. E, a dirla tutta, anche per le vecchie concessioni le aziende fanno fatica ad andare avanti. Colpa, anche, della troppa burocrazia e delle moratorie imposte dall’ormai ex governo gialloverde.
STOP A NUOVE CONCESSIONI
Partiamo da quella che dovrebbe essere una novità. Nel programma di governo si legge: “Bisogna introdurre una normativa che non consenta, per il futuro, il rilascio di nuove concessioni di trivellazione per estrazione di idrocarburi. In proposito, il Governo si impegna a promuovere accordi internazionali che vincolino anche i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo a evitare quanto più possibile concessioni per trivellazione”.
In pratica, il governo Conte 2 si impegna a non rilasciare nuove concessioni di trivellazioni in futuro. Impegno confermato oggi dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, alla Camera (qui il discorso integrale): “Siamo determinati a introdurre una normativa che non consenta più il rilascio di nuove concessioni di trivellazione per estrazione di idrocarburi. Lo voglio dire chiaramente chi verrà dopo di noi, se mai vorrà assumersi l’irresponsabilità di far tornare il Paese indietro, dovrà farlo modificando questa norma di legge”.
IL COMMENTO DI GIANNI BESSI
Dice a Start Magazine Gianni Bessi, autore del libro “Gas naturale – l’energia di domani” (Innovative Publishing): “Dopo avere ascoltato le parole del discorso del primo ministro incaricato Giuseppe Conte la mia prima reazione è che non cambio idea sul fatto che il gas naturale resti l’energia fondamentale per la transizione energetica. Ritengo che invece di pronunciare dei no che sono sostenuti da pregiudizi, sarebbe il caso di modificare il metodo con cui si affrontano le scelte strategiche del nostro Paese. Non servono slogan ma un nuovo modo di affrontare le cose, che poi è quello su cui l’Italia in passato ha basato la propria crescita economica, che preveda la volontà e l’apertura della politica verso le parti sociali, le imprese”, secondo Bessi (qui l’intervento integrale).
UNA NON NOVITA’
“Già prima il Pd aveva fatto capire che si arrivava ad una sospensione di nuove concessioni”, ha affermato l’economista Davide Tabarelli (presidente di Nomisma Energia) in un’intervista a Start Magazine. Proprio Tabarelli, però, si auspica che “tutto quello che è in corso e già autorizzato e su cui si devono ancora fare investimenti magari con nuovi buchi” possa “essere completato, per buon senso”.
LA MORATORIA 2019
Ma il Mediterraneo è off-limits. Da diversi mesi. Da dopo le polemiche nate dall’autorizzazione finale che Luigi Di Maio è stato costretto a rilasciare alla società Global Med, per la raccolta di dati geofisici sulla ricerca di giacimenti (permetto accordato, come si legge qui, già dai governi Letta, Renzi, Gentiloni).
Dopo le polemiche, infatti, Di Maio ed il Movimento 5 Stelle hanno annunciato lo stop alle trivelle, ma la mossa non è piaciuta alla Lega, sviluppista su molti fronti. A fine gennaio 2019 Lega e M5S hanno trovato un accordo sulla questione trivelle, introducendo una moratoria, di 18 mesi, per le attività di sfruttamento di gas e petrolio per i soli procedimenti autorizzativi relativi a prospezione e ricerca di idrocarburi.
CHI HA COINVOLTO LA MORATORIA
Tra le grandi aziende che la moratoria ha coinvolto ci sono Eni, Shell, Total, Edison: la moratoria comporta danni per svariati miliardi di euro.
IL CASO ENI A RAVENNA
Per comprendere le conseguenze della moratoria di 18 mesi introdotta da Movimento 5 Stelle e Lega basta guardare quanto sta avvenendo (meglio, non sta avvenendo) a Ravenna. Qui Eni aveva annunciato un investimento di 2 miliardi di euro nei prossimi 4 anni in attività di sviluppo e mantenimento degli asset nell’offshore adriatico, il cui potenziale, spiega Milano Finanza, consentirebbe di raddoppiare la produzione dagli attuali 45 mila barili al giorno.
La moratoria, però, ha bloccato tutto ed Eni ha avviato a Ravenna il piano di decomissioning delle piattaforme con un impegno economico di 150 milioni di euro in quattro anni.
I PROBLEMI DI GELA
Poi c’è il caso Argo-Cassiopea, a Gela, in Sicilia. Qui Eni-Med (Eni Mediterranea Idrocarburi) in jv con Edison intende investire fino a 1,8 miliardi per sfruttare il gas nel canale di Sicilia, attraversi 4 pozzi sottomarini collegati a una centrale di trattamento da realizzare all’interno del perimetro della raffineria di Gela.
Il progetto ha un grande potenziale: la produzione stimata è di oltre 4 milioni di metri cubi di gas al giorno (il 27% della produzione totale di gas in Italia) e l’avvio dovrebbe avvenire entro dicembre 2021. Ma questo potrebbe avvenire solo se, ricorda Milano Finanza, si ottenga la proroga del decreto Via entro le prossime 3 settimane.
TROPPA BUROCRAZIA
L’altra tegola, per il settore, è la burocrazia. Sempre il Cane a Sei zampe ha una questione in sospeso presso il Ministero dello Sviluppo Economico. Ad ottobre scade l’istanza di proroga decennale della concessione Val d’Agri, in Basilicata. Eni è in attesa di nuova proroga da due anni, ma non è ancora arrivata. Da ottobre, dunque, Eni potrà continuare solo nell’attività ordinaria, sostiene Milano Finanza, e dovrà fare i conti con il declino fisiologico della produzione, dal momento che non saranno consentiti lavori straordinari.
I NUMERI DI SETTORE
Che tutto sia fermo, in Italia, su questo fronte, lo testimoniano i numeri. Se negli anni 90 la media dei nuovi pozzi era di circa 200 l’anno, infatti, dal 2010 al 2018 ci sono stati 15 pozzi in tutto.