Pubblcato su il Foglio.it del 4 settembre 2019
Le lettere al direttore del 4 settembre 2019
Al direttore – Vabbè ora la piattaforma digitale del Pd, come si doveva chiamare?, si può anche non fare di più.
Giuseppe De Filippi
Al direttore – La democrazia digitale è molto oltre una boiata pazzesca. Il baco genetico è culturale/politico. Il ginevrino, “che aveva il mondo in gran dispitto” che, come osservò Madame de Staël, “brucia tutto quello che tocca”, partorì il mostro concettualmente assurdo “del popolo che si autogoverna in proprio, direttamente”. Non a caso si parla di piattaforma Rousseau. Tradotto: la dittatura diretta di una minoranza. Comunque finirà, teniamo sempre presente che quello è il fine della Casaleggio&Co. E che la tecnologia digitale, creata e gestita da una minoranza dà una mano decisiva. Alimentata dal mix di rabbia, ignoranza, rancori, invidie, desideri, rivincite che siamo propensi a far prevalere sulla ragione. Amen? Impegniamoci perché non lo sia.
Moreno Lupi
La democrazia digitale è sempre una democrazia potenzialmente diretta da un uomo sòla al comando.
Al direttore – Non sono tra i più entusiasti (eufemismo) del governo con i Cinque stelle. L’ho detto nelle sedi istituzionali del Pd locale o in qualche blog o social. Senza polemiche ovviamente. Confrontandomi con molti ho registrato che c’è un consenso di fondo: fermare il Truce Salvini, la destra, le politiche dell’odio, ecc. E quindi lavoriamo, lavoriamo, lavoriamo. Dico solo che: su energia o rifiuti o politiche industriali tipo chimica ricordiamo a tutti che Eni è l’Italia. Che le ex municipalizzate risolvono problemi di milioni di tonnellate di rifiuti prodotte da noi. Hanno dei piani di investimenti di miliardi di euro. Hanno migliaia di lavoratori specializzati che lavorano al massimo della sicurezza. Sono donne e uomini che si sono formati grazie alle nostre scuole e università. Più gas più rinnovabili più riciclo più riutilizzo lo fanno le strutture organizzate, gestite professionalmente per le comunità. Non le fanno due nerd in un garage. Non bastano le App. Oppure l’economia circolare o la transizione energetica diventano solo slogan da circo! Per questo credo giusto telefonare, fare incontri, fare proposte, confrontarmi con tutti. L’importante è che ci sia volontà e apertura ad ascoltare le imprese, i fatti, le implicazioni. Scusate ma avverto solo io una sorta di ipnosi che colpisce noi “politici”. Come se le cose accadessero senza di “noi”. A Roma accetterebbero di fare il governo anche con il reintegro della scala mobile? Senza polemiche o facile ironia qualche idea e proposta le ho…
Gianni Bessi, consigliere regionale Emilia-Romagna
L’importante, però, è che alla Farnesina si trovi un posto per Giggino nostro, con un bel gilet giallo fatto con la grisaglia.
Al direttore – Ogni processo di formazione di un nuovo governo definisce il perimetro e la prospettiva politico-strategica non solo della maggioranza che è chiamata a sostenere l’esecutivo, ma anche dell’opposizione a quest’ultimo. Nel caso poi del nascente governo M5s e Pd, le opposizioni sono oggettivamente due, a mio modo di vedere: la prima è a trazione salvinista e sovranista, anche se nell’area della destra si è aperto uno scontro politico tra il moderatismo liberale di FI e il nazionalismo estremista della Lega; la seconda opposizione, invece, è in gran parte da disegnare e costruire, discendendo di riflesso da quello che rischia di essere il profilo dominante dell’alleanza rossogialla. Mi spiego. Molto opportunamente, nei giorni scorsi il Foglio ha posto l’interrogativo se il governo rossogiallo segni la resa del populismo al riformismo o, viceversa, del riformismo al populismo (copyright Cerasa): credo, ahimè, che si debba propendere per la seconda ipotesi. Questo non tanto a causa dei compromessi programmatici che sembra siano alla base delle trattative in corso per il governo di coalizione demo-grillino, bensì perché nella sinistra e nel Pd la componente riformista, modernizzatrice e produttivistica è da lungo tempo minoritaria e spesso soccombente rispetto a quella assistenzialistico-statalista e giustizialista, che invece risulta in sintonia con il populismo a 5 stelle. C’è una data storica, in tal senso, che segna uno spartiacque: quella dell’intervista rilasciata da Enrico Berlinguer il 28 luglio 1981 al mensile di partito Rinascita, in cui l’allora capo del Pci lanciava la linea della questione morale, che inaugurò una deriva moralistico-giustizialista della cultura politica della sinistra, segnandone una mutazione genetica vasta e ancora perdurante. Con l’operazione odierna per un governo Conte 2.0, si discetta ora di “nuovo umanesimo”, di cui massima espressione non è tanto, oggi, il coalizionismo di un accordo politico tra M5s e Pd per la nascita del governo, quanto piuttosto la derivante, domani, di un inedito impasto (nuovo mostro) tra populismo grillino e istituzionalismo del Pd – addirittura con pretesa di porsi come modello in Europa – i cui ingredienti fondamentali sarebbero una sinistra finalmente libera da ogni residuo di riformismo ed il francescanesimo bergogliano, con spruzzatine di laicità liberale (copyright Crippa – Il Foglio 31/08). Quanto di più distante e indigesto, insomma, da un riformismo liberale e democratico, moderno ed europeista che dovrebbe essere invece il fattore caratterizzante e dominante, per l’appunto, di quella che definisco la seconda opposizione al governo demo-populista all’orizzonte.
Alberto Bianchi