Pubblicato su Start Magazine.it il 2 dicembre 2018
di Gianni Bessi
Quando gli Stati Uniti hanno reintrodotto sanzioni secondarie contro il settore petrolifero dell’Iran, il network House of Zar si è convinto che Putin continuerà a sfidare Trump investendo nel gas naturale dell’Iran.
Terza e ultima puntata della trilogia di House of gas sui possibili scenari che si fronteggiano sulle pianure tra il Monte Ararat e le sorgenti del Tigri e dell’Eufrate. La coperta di Washington.
Tornando con la memoria al 5 novembre, quando gli Stati Uniti hanno reintrodotto sanzioni secondarie contro il settore petrolifero dell’Iran, il network House of Zar si è convinto che Putin continuerà a sfidare Trump investendo nel gas naturale dell’Iran.
La repubblica degli ayatollah ha un potenziale accertato di 33,2 Tcm di riserve di gas naturale, che la rende il secondo produttore più grande del mondo proprio dietro la Russia, che vanta il 18% circa delle riserve dimostrate al mondo (35 mila miliardi metri cubi Tcm).
Le risorse naturali rappresentano per la Russia quasi l’80% dell’esportazione e il 51,7% delle entrate fiscali. La Gazprom vende due terzi del proprio gas naturale al proprio interno ma i due terzi degli introiti provengono dalla commercializzazione all’estero.
La cooperazione sulle riserve di gas naturale iraniano rappresenta una opportunità strategica sia per il Cremlino sia per Teheran. L’investimento russo in tal senso allevia le difficoltà derivanti dalle sanzioni occidentali, guidate dagli Stati Uniti, che colpiscono entrambi i Paesi.
La cooperazione permetterebbe all’Iran di monetizzare in un periodo di economia stagnante e di contrastare la strategia dell’Arabia Saudita per mantenere l’egemonia regionale. Viceversa, l’immissione del gas naturale iraniano nel mercato europeo senza un oculato filtro da parte della Russia potrebbe rivelarsi controproducente per l’economia di Mosca e per la sua sicurezza energetica.
L’attuale matrimonio di convenienza tra Russia e Iran deriva dal fatto che la prima considera il secondo uno strumento provvisorio per contrastare gli Stati Uniti e salvaguardare i propri interessi economici.
Nel processo di cooperazione, Putin oltre a garantire a Rouhani una pur minima prosperità economica ha l’opportunità di conseguire vittorie diplomatiche persuadendo i persiani ad abbandonare la produzione nucleare. Un risultato che potrebbe diminuire le tensioni internazionali e permettere alla Russia di ottenere due risultati geopolitici importanti: di ingigantire il suo ruolo di attore chiave in Medio Oriente e consolidare quello di player proattivo su scala globale, per garantire ai propri interessi energetici di essere adeguatamente rappresentati.
Le entrate della Russia provenienti dal settore energetico sono sufficienti a preservarne direttamente la sovranità. Il potenziale del gas naturale iraniano può diventare il fulcro del futuro ruolo dell’orso russo nel mercato globale del gas naturale. Mentre gli Usa che ambiscono a scalzare il primato della Federazione Russa si troveranno prima o poi a dover operare scelte in tema di compromessi per evitare che la coperta, con la quale intendono condizionare il mercato globale, si riveli drammaticamente corta.
L’unione di convenienza fra Russia e Iran è maturata a causa dell’isolamento cui sono state costrette negli ultimi anni ma i loro interessi in fatto di gas rischiano di scontrarsi, come abbiamo evidenziato nel nostro primo focus, quello riguardante la Turchia.
Geograficamente, materia inevitabile per chi si occupa di scenari politici, la penisola Anatolica è la porta dell’Iran verso l’Europa e rappresenta la strada meridionale per l’approvvigionamento all’ambito mercato sud europeo. In questo delicato gioco di incastri gli Stati Uniti, se vorranno espandere il proprio commercio di Gnl nel mercato europeo a fronte della scarsa competitività legata ai maggiori costi, saranno costretti a sostenere altri fornitori regionali di gas naturale verso la Turchia. La Turchia, insomma, è il crocevia per garantire uno sbocco nel corridoio meridionale per il gas che approvvigiona l’Europa e la conferma come una forza economica e geopolitica a cavallo tra Europa e Asia.
A Erdogan il compito di capire quale ruolo convenga interpretare alla Turchia nella regione, mantenendo spericolate relazioni a est come a ovest. In quanto al gas naturale, le risorse turche non permettono l’indipendenza energetica: il Paese produce solo lo 0,8% di quanto consuma, difettando, inoltre, di formazioni naturali adatte allo stoccaggio. Tuttavia, ciò che le manca morfologicamente viene compensato da una posizione geografia ideale, che le permette di non dovere dipendere da un fornitore singolo.
Già raggiunta dai gasdotti di gas naturale russi e iraniani, la nazione ottomana si è impegnato a costruirne di nuovi, in particolare il Turkstream e il Trans Anatolian (Tanap), anche se la capacità delle infrastrutture del Paese risulta già superiore sia alla domanda attuale sia a quella ipotetica del futuro.
E questo pure tenendo conto che la domanda interna di gas è quasi raddoppiata in una dozzina di anni, passando da 27 miliardi metri cubi nel 2005 al record di 53,5 miliardi metri cubi nel 2017. A ciò vanno aggiunte le fonti fossili, con una continua crescita di ricorso al carbone e alla produzione dall’eolico, fonti disponibili localmente e su cui Ankara continua ad investire.
Il caso turco è paradigmatico: conferma che mentre i principali produttori di gas espandono la produzione per aumentare le opportunità economiche, i consumatori cercano di incrementare la sicurezza energetica diversificando le fonti di approvvigionamento.