di Gianni Bessi
Pubblicato su Start Magazine il 2 Settembre 2018
Pubblichiamo un estratto del libro di Gianni Bessi “Gas naturale, l’energia di domani” edito da Innovative Publishing
La nuova economia 4.0 richiede competenze di alto livello e professionalità in grado di gestire progetti e processi. E quando si dispiegherà completamente avrà un impatto rivoluzionario su tutta la società: bisogna essere pronti e il modo migliore è, come ho appena scritto, investire sulle competenze e sulle conoscenze dei giovani.
Le condizioni necessarie ci sono tutte: giacimenti importanti, territori in cui operano imprese ad alta tecnologia, esperienza nel fare convivere l’attività di estrazione con altre più leggere e maggiormente dipendenti dalla sostenibilità ambientale come il turismo. Infine, la volontà di Eni è di investire risorse nell’attività di estrazione.
Ci sono ovviamente alcuni ostacoli non indifferenti da superare: un quadro normativo incerto, un iter autorizzativo eccessivamente complicato – soprattutto per quanto riguarda il time to market, che è meno funzionale rispetto a quello di altri Paesi – la resistenza di partiti o esponenti politici e dei movimenti a favore del No.
La politica dovrebbe accelerare la propria azione in questo senso, poiché la Croazia sta già estraendo gas naturale in Adriatico e la Turchia sta diventando l’hub energetico del Sud Europa. Nel contempo, nazioni che finora erano state ai margini del mondo energetico si stanno ritagliando un ruolo all’interno del corridoio meridionale del gas naturale. L’oro azzurro produce cambiamenti geopolitici e spinge i governi a compiere scelte politiche profonde, che mutano il quadro generale.
Le nostre ingenti risorse di gas naturale vanno quindi sfruttate. Siamo il secondo Paese manifatturiero d’Europa e abbiamo bisogno di energia. Una parte dovrà per forza venire dall’estero, attraverso quei nuovi gasdotti verso i quali sono stati espressi i già citati dissensi. Ma una parte consistente potremmo produrla in casa, ottenendo alcuni risultati importanti quali l’alleggerimento della bilancia dei pagamenti e la possibilità di essere più autonomi nell’approvvigionamento, magari programmando di stoccare la produzione nazionale di gas on shore in siti selezionati – per esempio, nei giacimenti dismessi perché esauriti – in modo da avere una riserva in caso di interruzioni nel rifornimento. Tutto ciò con l’obiettivo strategico di ridare smalto al settore energetico italiano e creare le occasioni per rendere applicative le scoperte della ricerca, le idee dei nostri progettisti e la competenza della nostra manodopera specializzata.
Come dovrebbe muoversi, allora, la politica? Trasformiamo una visione in un progetto, in un piano industriale e culturale di respiro nazionale che sappia valorizzare il capitale produttivo partendo dalle imprese partecipate – le eccellenze nazionali come Eni, Saipem, Versalis, Enel, Leonardo, Syndial, ma anche le grandi municipalizzate – che hanno competenze e know how di valore internazionale, organizzandole in filiere lunghe. È ciò che hanno fatto, per esempio, i Coreani, facendo diventare queste filiere uno dei pilastri del loro sistema economico.
Un’altra esperienza riproducibile è quella francese: mi riferisco alla teoria del dirigisme inventata da De Gaulle e proseguita da Pompidou, ma a cui nessun presidente francese ha in realtà mai rinunciato. Champion National corrisponde a una società scelta dallo Stato per diventare il produttore o il fornitore dominante nel mercato nazionale e ostacolare i concorrenti stranieri nel mercato stesso, favorendo sinergie e fusioni tra imprese e concedendo a questi champion gli aiuti. In tal modo, lo Stato può consentire loro di raggiungere una dimensione critica e diventare autonomi da soli.
Il piano dovrebbe organizzare le imprese, costruendo una cabina di regia super partes – che quindi operi a un livello superiore rispetto ai singoli Consigli di Amministrazione – al cui interno un ruolo di primo piano dovrebbe essere esercitato dalla Cassa Depositi e Prestiti (CDP). Non dimentichiamo che il Governo ha identificato proprio nella CDP lo strumento in grado di fornire le risorse economiche per sostenere le strategie di sviluppo.
Ovviamente, la CDP non deve diventare una nuova IRI, ma uno strumento operativo a sostegno delle imprese che per know how sono in grado di essere competitive. Sostenere i nostri “campioni nazionali” non è una scelta di politica protezionistica: molti Paesi che competono sul libero mercato scelgono politiche che favoriscono, quando possono e all’interno delle leggi della libera concorrenza, le proprie aziende e le proprie le filiere.
Mi aspetterei che la cabina di regia di cui parlo scegliesse una via italiana per rafforzare la filiera del settore energetico in modo da garantire il massimo dell’efficienza al processo produttivo. Senza contare che la spinta a far sistema sotto la guida di una cabina di regia e di una moral suasion dello Stato rafforzerebbe il sistema Italia anche all’estero.