Pubblicato da Start Magazine il 17 luglio 2018
l post di Gianni Bessi sull’epilogo dei Mondiali di calcio
È il 15 luglio: si spengono le luci e le insegne pubblicitarie del colosso energetico russo Gazprom nel grande stadio Lužniki di Mosca, mentre le immagini della premiazione della Francia campione del mondo continuano a girare sugli schermi televisivi o degli smartphone di tutto il mondo. Macron è raggiante, abbraccia uno a uno i bleus. Una pioggia battente chiude per i francesi una campagna di Russia che questa volta è stata vittoriosa con tutti gli onori. Si sprecano commenti, che si nutrono delle retoriche più trite, come quella della nazionale melting pot francese che ha battuto la piccola Croazia bianca e simbolo dei nazionalisti… Stiamo sereni perché forse alla fine è solo sport, ma anche questo mondiale ne ha prodotti di simboli, storie e leggende.
Il giovane presidente a rubare la scena in mondovisione, ma il condottiero francese stavolta – o ancora una volta… – è un uomo piccolo e fiero. Di origini basche, sarebbe stato perfetto calato nella divisa da maresciallo della Grande Armée napoleonica. Il suo nome: Didier Deschamps.
Non è nuovo ai successi: era il capitano della Francia che vinse i mondiali del 1998. Centrocampista dotato tatticamente e tecnicamente di rara sapienza calcistica, che dispensava generosamente in mezzo al campo. Con questa impresa ha affiancato due altri Mister del calcio mondiale vincitori sia da giocatori che da commissari tecnici: il “kaiser” Beckenbauer e il “professore” Zagallo.
Ma torniamo sul palco, perché sotto la pioggia battente si staglia la figura di un altro uomo che ha messo in cassaforte un altro successo tra i tanti nella sua esistenza. È il leader della Madre Russia, l’organizzatore del mondiale senza sbavature o imprevisti. Eravamo stati facili profeti prefigurando che sarebbe uscito da questo mondiale come un trionfatore, che la sua nazionale avesse vinto o meno.
E che i mondiali sarebbero stati il secondo evento quest’anno, dopo le trionfali elezioni presidenziali, in cui Vladimir Putin e la Russia sarebbero stati sotto le luci della ribalta globale.
Il mondiale di calcio è stata l’occasione per confermare ancora una volta la sua sensibilità per la geopolitica, che ha mostrato come al solito usando la capacità mediatica. Mentre Macron esultava nel palco d’onore, dove era ospitato dal potente presidente della FIFA l’italo-svizzero Gianni Infantino – che ha una notevole somiglianza con l’AD di Eni Claudio Descalzi, fatto che in alcuni casi ha tradito anche il più esperto protagonista dell’oil&gas… – Vlad lo zar continuava a stringere mani. Come ha fatto per tutta la durata del mondiale con i vari leader delle nazioni partecipanti, approfittando dell’occasione per tessere alleanze. Come ha fatto con il principe arabo Mohammed bin Salman col quale, tra un gol e una risata allo stadio , ha costruito l’accordo per la crescita ‘proporzionale’ di produzione di petrolio che poi è stato ratificato al summit di Vienna dell’Opec.
Oppure ricevendo con tutti gli onori il premier Sud Coreano al Cremlino, con cui avrà parlato dei nuovi tubi che attraverseranno la penisola coreana da nord a sud. E confermando che la diplomazia del gas permette di superare anche le più antiche rivalità.
Putin ha vinto la sua scommessa, che non era vincere il mondiale ma…mentre il centravanti Dzyuba e il portiere Akinfeed si mettevano in luce e i tavoli prenotati dei bar alla moda di San Pietroburgo registravano il tutto esaurito, lui ha approfittato della distrazione sportiva per far introdurre al fido Dmitrij Anatol’evič Medvedev l’aumento dell’età delle pensioni in Russia. Ha tentato di inserire una misura impopolare mentre il popolo era “anestetizzato” dal calcio: un popolo di 140 milioni di persone che ha un salario medio di 12mila rubli al mese (170 euro) col quale fatica a tirare avanti in un Paese dove situazioni ambientali e stili di vita alimentari non proprio “sani” hanno come risultato un’aspettativa di vita sotto lo standard europeo, che è meno di 70 anni, circa 13 anni in meno rispetto all’Italia, tanto per fare un esempio.
Il calcio allora è davvero la prosecuzione della geopolitica con altri mezzi? Guardando alla Russia si direbbe di sì.
Simboli, storie e leggende, dicevamo… Come quella dell’Uruguay, un piccolo paese di grandi tradizioni calcistiche. Ci sarebbe piaciuto vederlo, stretto attorno al suo maestro, Oscar Tabarez, che ha sfidato la malattia e la morte per condurre la Celeste dalla panchina, conquistare la terza sfolgorante stella da appuntare al petto.
È stata la Francia nei quarti di finale a sconfiggere il nostro sogno, ma le parole di congedo di Oscar Washington Tabarez confermano che questo ‘Oriental’ delle rive del Rio de la Plata è per noi il vero Hombre Vertical Campione del Mondo di Russia 2018: «E’ inutile essere campioni del mondo se poi si scopre che i nostri giovani non sanno dove sia la Russia o perché nella nazionale francese ci siano tanti giocatori nati in Africa. E’ tempo di realizzare quello che i nostri governanti ci hanno promesso e raggiungere il 6% del PIL nell’investimento per l’istruzione pubblica». Ecco di questo ci piacerebbe che i grandi della terra si occupassero.
Chissà se Zio Vlad e The Donald ne hanno parlato a Helsinki…il giorno dopo, il 16 luglio.