Pubblicato su Startmagazine del 29 marzo 2018
Seconda puntata dell’approfondimento di Gianni Bessi sulle elezioni svolte in Russia e non solo…
Il 18 marzo 2018 può diventare un’altra data simbolo. Sancisce l’ultima presidenza di Vladimir. Visto l’obbligo dei due mandati previsti dalla Costituzione russa o Putin utilizzerà di nuovo il cosiddetto “arrocco”, per rifarsi alla grande tradizione russa negli scacchi, alleverà un ‘delfino’ per poi lasciargli la presidenza nel 2024? A questa domanda Putin ha fulminato il suo interlocutore dichiarando che non può governare fino a cento anni. Quindi farà come il suo omologo cinese Xi e farà cambiare la Costituzione per togliere i due mandati? Diventando a tutti gli effetti Zar di tutte le Russie?
Putin è sicuramente importante, ma è il frontman di un esercito compatto, formato da ex militari di esercito- marina- aviazione- Kgb-Gru con solo qualche eccezione proveniente dai mondi economici, finanziari e culturali. Sono i Siloviki, i Signori della forza.
La storia è nota. L’ha raccontata proprio Putin nella controversa intervista a Oliver Stone. È finita l’era dei robber barons (Beresovsky, Vladimir Gusinsky, Mikhail Khodorkovsky, Vladimir Potanin, Mikhail Friedman, Pyotr Aven, Alexander Smolensky) l’oligarchia che con il Presidente Boris Eltsin conquistò potere e grandissime ricchezze, facendo sprofondare però la Russia in una crisi economica gravissima.
Proprio Corvo Bianco favorì, con il consenso dei sette Baroni, la velocissima ascesa di Putin, capo dei servizi segreti nel 1999, e nominato primo ministro ed erede nella notte di capodanno del 2000 in diretta televisiva. E il nuovo inquilino del Cremlino conquistato il potere, insieme alla sua squadra di Siloviki, ha però cambiato le regole del gioco.
Questo gruppo per salvare la Russia dalla forza predatoria dei boiardi miliardari prese per mano la Madre Russia e con Putin presidente iniziarono il lungo cammino per uscire dalla crisi economica. Alcuni oligarchi furono accusati, condannati e incarcerati per evasione fiscale, altri scapparono senza onore ma con la borsa (anzi borsone) piena? Ma questa è storia nota, come sono conosciuti i nomi e anche la capitale dove gli oligarchi e le loro corti si sono stanziati. Cioè Londra, dove cambiarono in sterline le enormi ricchezze i rubli e avviarono una nuova ‘swinging era’ facendo ribattezzare la città di Sua Maestà dalle riviste cool: Londongrad.
Oggi i Siloviki hanno saldamente in mano la Madre Russia. I grandi gruppi economici diventati tutti statali e i loro manager sono in squadra e seguono gli ordini del Presidente come si vede fisicamente nella riunione di fine anno attorno al grande tavolo nella sala reale del Cremlino.
Quindi chi arriverà dopo Putin? Guardiamo nella schiera più stretta. Sergej Shoigu, generale d’armata, potente Ministro della Difesa e quindi capo supremo delle forze armate e del GRU il potente servizio dell’intelligence russa. Ma soprattutto inseparabile compagno di Putin nelle partite di hockey su ghiaccio, come di ghiaccio, raccontano, è la sua espressione nelle trattative.
Oppure Sergej Ivanov, ricomparso la scorsa estate a fianco di Putin, di cui era braccio destro ai tempi dei servizi segreti, dopo aver passato una stagione congedato o ‘congelato’ ad appena 63 anni. Un nome su tutti? Igor Sechin capo di Rosneft, la più grande compagnia petrolifera di proprietà in maggioranza del governo russo dopo aver acquisito all’asta le attività della Yukos. Yukos acquisita dopo l’incarcerazione di uno dei 7 robber barons Mikhail Khodorkovsky quando Igor Sechin era capo di gabinetto e braccio operativo di Putin volto a smantellare il potere degli oligarchi.
Ma forse per trovare l’erede di Putin dobbiamo calarci dentro alla cosiddetta grande Madre Russia e ai suoi tanti “cognomi”. Guardiamo al cognome Medvedev, come Dimitrj l’ex presidente protagonista dell’arrocco: la sua radice richiama la parola “orso”, figura evocativa in Russia – l’Orso Russo – che ne delinea la resistenza, la resilienza tipica del suo popolo, anzi dei suoi popoli. Oppure Miller, cognome del CEO di Gazprom, che ci riporta a storie di vecchie migrazioni ebraiche dal centro est Europa in Russia; o leggende di mercenari di origine tedesca assoldati nei cosacchi dello Zar per la loro assoluta fedeltà.
E se parliamo dello Zar torniamo ai “Vicus”, ai principi, ai signori discendenti da Costantino Magno, e torniamo a storie e miti di Madre Russia: la parentela stretta dei Romanov con il clan Putyantins.
Non si può parlare di Zar senza evocare la rivoluzione di ottobre, che ha avuto come strascico la disputa condotta da un Principe, l’ultimo dei Romanov, Dimitri, che intentò decenni di cause legali con la City per riportare il tesoro dei Romanov in Russia. Ci riuscì solo nel 2014, e Vladimir Putin forse per questo lo ricevette come un patriota al Cremlino. E quando morì gli furono concessi i funerali di Stato.
Londra, le ex spie, i signori della City, il Brent, i seven robbers barons richiamano le proposte di Putin ai 60 uomini d’affari, capi di aziende pubbliche e private, banche e organizzazioni pubbliche che hanno preso parte all’incontro annuale attorno al tavolone della sala reale del Cremlino: sono misure adeguate al ritorno dei capitali nella giurisdizione Russa? Sempre il denaro è la risposta, il resto è solo conversazione.