L’analisi di Gianni Bessi
In campo energetico la novità è che stiamo assistendo a una “guerra fredda del gas”, con gli Stati Uniti che da semplici clienti sono diventati competitor dei petrostati tradizionali, grazie alla potenzialità delle produzioni, sostenute dall’innovazione tecnologica che permette di sfruttare giacimenti prima “dormienti”, ai nuovi progetti e alle infrastrutture che sta realizzando.
Tutto ciò non è iniziato ora. In principio erano… Tre politici americani, che usando il titolo di un film di Sergio Leone sono il buono, il brutto e il cattivo. Barack Obama, è “il buono”, quello che ha rimosso il divieto di esportazione di idrocarburi. Un blocco introdotto nel 1973 da Richard Nixon, a cui, visto quello di cui si è reso colpevole, possiamo assegnare il titolo di “brutto” della politica. A suo tempo quella di Tricky Dicky – il 37esimo presidente Usa ha collezionato un certo numero di nomignoli – fu una mossa storica per rilanciare le compagnie petrolifere nazionali e di conseguenza anche l’industria.
Oggi tutti guardano a Donald Trump – che, va da sé, si becca l’appellativo di “il cattivo” della politica – che può continuare a sostenere una geopolitica aggressiva usando le risorse energetiche nazionali, dalle sabbie bituminose al petrolio a, soprattutto, il gas di scisto. Ambendo non solo a una ritrovata indipendenza energetica, ma anche a portare gli Usa a dominare il mercato.
Le stime più recenti confermano la potenzialità dello shale che si prevede che raggiunga i 90 miliardi di metri cubi entro il 2020, rendendo gli USA uno dei primi tre esportatori di Gnl al mondo.
Perché questa accelerazione imposta dall’amministrazione Trump verso una politica di “dominio energetico”? A mio parere la ragione principale va cercata nell’esigenza di sostenere l’economia reale Made in USA che ha perso lungo la strada pezzi della bilancia commerciale, soprattutto nel settore manifatturiero per la concorrenza di Cina e India.
L’obiettivo anche della presidenza Trump è recuperare risorse grazie alle esportazioni nel settore energetico per sostenere il budget statale. Che si è indebolito anche per il calo delle entrate dovuto alla riforma fiscale.
La potenza americana riuscirà ad aumentare il proprio vantaggio competitivo convertendo i terminali di importazione in terminali di esportazioni nel golfo del Messico e riducendo i tempi di trasporto verso l’Oriente. Questo grazie all’allargamento del canale di Panama, che dai tempi di James Monroe è un po’ come “il cortile di casa”.
L’aumento delle esportazioni di carburante dagli Stati Uniti, ha detto a Reuters il capo dell’ente governativo del canale, porterà entro settembre a un aumento del 50% del numero di navi metaniere per il trasporto di gas liquefatto che attraversano il canale.
Il gambler americano, insomma, ha scelto di giocare di forza: Washington non si limita a guardare verso oriente ma ha anche dato il via a un export aggressivo, con le gasiere cariche Gnl che dal terminale di Sabine Pass della compagnia Cheniere Energy partono alla volta dei terminali polacchi e di quello di Klaipeda in Lituania. È un modo per limare le quote di forniture russe proprio nei Paesi dell’Europa dell’est.
Sempre in chiave di predominanza energetica, gli Usa utilizzano ogni forma di pressione geopolitica, dalle sanzioni economiche (Russia o Iran per esempio) alla diplomazia tradizionale. L’agenda dell’inviata per gli affari energetici internazionali del dipartimento degli Stati Uniti, Sue Saarnio, non ha una data libera, com’era quella del resto del suo predecessore Amos Hochstein, perché la priorità è promuovere la “flessibilità” dell’approvvigionamento di Gnl made in Usa rispetto alle forniture di gas siberiano.
E qui entra in scena l’orso russo, l’altro grande gambler dei petrostati: la sua economia dipende in larghissima parte da export energia e di conseguenza il suo budget statale soffre l’ingresso americano.
Ma lo stile dei cosacchi è differente: sono raffinati scacchisti che non si limitano a subire il gioco e per questo sono disponibili a puntare su mosse imprevedibili. Putin, e qui come soprannome ci sta bene “il freddo della politica”, che è sempre prudente nello studiare le circostanze quanto è rapido nelle scelte di geopolitica sta operando a tutto campo, non solo per creare nuovi gasdotti verso l’Europa, dal Nord Stream2 al Turkstream fino al Power of Siberia verso la Cina e il Giappone, ma anche per stringere nuove alleanze e consolidare quelle vecchie.
Come un alfiere attraversa tutta la scacchiera mondiale e non ha problemi a stringere la mano agli iraniani o ai sauditi, nonostante le divergenze geopolitiche, alleandosi con loro per fronteggiare la minaccia del boom degli shale americani.
Questa nuova “guerra fredda” non si limita al gioco “gasdotti” contro “gasiere gnl” perché i russi accettano anche la sfida del trasporto via mare. La seconda cisterna di gas naturale liquefatto russo, la Provalys, sta per essere spedita in New England e secondo l’agenzia Bloomberg dovrebbe essere arrivata a destinazione il 15 febbraio: è una mossa simbolica ma che fa emergere lo spiccato senso mediatico di Putin.
Se il canale di Panama garantisce competitività al giocatore americano, le ipotesi di riduzione della calotta artica modifica gli equilibri dei traffici navali atlantici, permettendo ai Russi di sfruttare nuove rotte, grazie soprattutto alla tecnologia avanzata applicata alle nuovi nave rompighiaccio di grande dimensioni che permette di solcare il mare artico, e non solo per il Gnl dal sito produttivo di Yamal nell’Artico russo. Si prevede che Yamal riesca a produrre 16,5 milioni di tonnellate di Gnl all’anno entro il 2019, il che richiederà un totale di 15 vettori rompighiaccio di ultima generazione. La prima spedizione del progetto è prevista a brevissimo e pare che il cliente sia la Cina.
Seguendo l’attuale corsa all’accaparramento delle risorse energetiche la considerazione finale – tipica di House of gas, che come sempre ascolta, mette insieme i dati e tenta una sintesi – può essere una sola: il mercato del gas comincia ad assomigliare a quello petrolifero, dove il prezzo piuttosto che la localizzazione determina il valore delle transazioni. E quindi forse la “guerra fredda” fra Usa e Russia, come direbbe Gordon Gekko, è tutta una questione di soldi, il resto è conversazione. Competition is competition…