di Gianni Bessi
Pubblicato su RIEnergia.Staffettaonline.com il 19 settembre 2017
Quando si discute di smart energy e green technology, come è successo ad Astana in Kazakistan ai primi di settembre, spesso tra i protagonisti ci sono l’Emilia-Romagna e le sue imprese. Non significa certo che la nostra Regione abbia l’esclusiva su questi temi, anzi, ma è sicuramente una di quelle in cui concetti come innovazione tecnologica e utilizzo di un mix energetico formato da rinnovabili e gas naturale – cioè il combustibile fossile più ‘pulito’ – sono da tempo elementi fondanti del suo modello di sviluppo.
Ad Astana, l’Emilia-Romagna era rappresentata, oltre che dalle istituzioni, anche da alcune imprese che da molti anni sono fra le più avanzate a livello italiano e internazionale. Aziende che contribuiscono a formare la spina dorsale di quell’Italia che non ti aspetti, quella fatta di persone che propongono idee e portano avanti progetti; imprese che in silenzio muovono l’economia e sostengono la società. Un’Italia sempre in movimento, diversa da quell’immagine un po’ folkloristica – e sminuente – in cui a volte viene relegata.
Perché la produzione di energia è tornata al centro delle agende politiche mondiali? Perché parlare di energia significa confrontarsi sul futuro industriale ed economico di ogni nazione industriale avanzata. Anche in Italia, quindi, dove il settore energetico – in primis il comparto Oil&Gas con le sue migliaia di imprese e centinaia di migliaia di lavoratori – ha il potenziale per essere uno dei motori della ripresa economica per tutto il Paese.
In questa direzione, l’Emilia Romagna è un esempio virtuoso poiché parte da una situazione privilegiata, costruita con politiche lungimiranti, che hanno permesso lo sviluppo del settore energetico senza penalizzare un altro importante settore economico della Regione, il turismo. Non sono un caso, in questo campo, gli accordi stipulati con il Mise, per i quali ora si attende che le decisioni sul percorso autorizzativo dei progetti procedano verso la definizione di tempi certi di realizzazione.
Questa ‘condizione privilegiata’, che è frutto (è bene ricordarlo) di volontà politica e non del caso, potrebbe costituire la base per una politica di lungo respiro allargata all’intero Adriatico. Si tratta, in sostanza, di realizzare in grande quello che in piccolo è stato fatto a livello regionale, cioè utilizzare il settore petrolifero, le sue imprese all’avanguardia, le sue maestranze di fama internazionale, le sue best practices sotto il profilo ambientale, per sperimentare su più larga scala un nuovo paradigma energetico. Un modello di sviluppo fatto di gas a km Zero e sviluppo delle rinnovabili, attività dei centri di ricerca marini e turismo. Un percorso di sostenibilità ambientale, economica e sociale verso cui la stessa Eni sta procedendo con grande convinzione, visti gli oltre 2 miliardi di investimenti che riguardano l’attività offshore in Adriatico.
Qual è l’obiettivo? Puntando a esiti di breve periodo, un primo passo è un alleggerimento della bilancia energetica nazionale, oggi ‘appesantita’ dalle importazioni di fonti fossili; in seconda battuta, la ricostruzione di una ‘cultura tecnologica e scientifica’. Una ‘palestra’, insomma, dove oltre a sfruttare le competenze attuali, si costruiscono quelle future. Le nuove generazioni di tecnici, ingegneri e specialisti possono nascere solo a patto che si investa sugli studenti, magari anche con incentivi mirati per favorire la scelta delle facoltà scientifiche e tecniche quali ingegneria, geologia, matematica, fisica. Magari pensando ad un salario per sostenere lo studio, spostando ad esempio una quota degli incentivi che vengono utilizzati per sostenere le rinnovabili o delle royalties delle concessioni.
L’Adriatico ha tutte le carte in regola per essere il luogo dove cominciare quel percorso di transizione energetica che ci porti verso un futuro sostenibile non solo a parole, che poggi le fondamenta su nuove professionalità e su una nuova classe dirigente. Ad Astana abbiamo presentato al mondo questo concetto di Made in Italy. Se ci pensiamo, è quello che del resto fece la generazione di ‘Enrico Mattei’.