La riforma introduce nella Costituzione l’equilibrio di genere, garantendo la proporzione tra donne e uomini nell’accesso alla rappresentanza politica, sia per il Parlamento (articolo 55) sia per i consigli regionali (articolo 122).
Tanti autorevoli studi dimostrano che i paesi che privano le donne di opportunità si impoveriscono, rinunciano a dinamismo e benessere.
In più di 40 nazioni, tra cui molte ricche e avanzate, si perde più del 15% della ricchezza potenziale, per effetto delle discriminazioni contro le donne. Si va dal 5% di Pil perduto negli Stati Uniti, al 9% in Giappone, fino a punte del 34% in Egitto.
In Italia il gender gap è ancora molto evidente: il 15% del Pil potenziale non viene realizzato a causa delle disparità di genere e dei divari salariali.
Recentemente un’indagine del Corriere della Sera ha riportato che la stragrande maggioranza delle persone che intervengono come esperti, in quanto ‘autorità’ in una data materia sono uomini mentre le donne sono solo il 18%.
Vi è un’effettiva persistenza del cosiddetto glass ceiling, il soffitto di vetro che impedisce alle donne di ricoprire ruoli apicali. La dequalificazione delle donne nel mondo del lavoro non costituisce più soltanto un problema etico, ma una necessità economica. Favorirne l’ascesa alle posizioni di vertice è urgente per assicurare una crescita sostenibile dell’economia.
Warren Buffett, interrogato sul perché del suo successo, disse “sono stato fortunato, ho vissuto in un tempo in cui mi sono dovuto confrontare solo con metà della popolazione”
Ora il referendum ci dà l’occasione per cambiare quel mondo. Votare sì servirà a promuovere l’uguaglianza e le pari opportunità, soprattutto nel mondo del lavoro e della rappresentanza politica.
In allegato la ricerca dell’Università di Modena “Ricerca reddito e fatturati”
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