Da Formiche.net del 7 aprile 2016

L’intervista di Pietro Di Michele a Gianni Bessi, Consigliere Pd nella Regione Emilia-Romagna 

È finalmente partito un confronto sulle diverse opinioni in merito al referendum del 17 aprile. Lei ha preso posizione da tempo: qualche ripensamento?

No, anzi. Ogni giorno che passa mi rendo conto di quali problemi possa causare all’occupazione e alla politica energetica del nostro Paese un’eventuale vittoria del SI al referendum. Non è un caso che siano nati sui social molti gruppi ‘dal basso’, cioè costituiti dai lavoratori del settore, che stanno facendo sentire la propria voce per far fallire il referendum. Non posso che esserne contento.

Però adesso siamo nel pieno della vicenda Tempa rossa-Guidi: secondo lei sarà determinante per far vincere il sì ‪il 17 aprile?

Ho fiducia nella coscienza civica e nell’intelligenza dei cittadini: la vicenda non ha nessun tipo di collegamento con il quesito del referendum.

Ma anche se il referendum fallisse comunque non eliminerebbe l’esigenza che prima o poi si dovrà puntare sulle fonti rinnovabili.

E io sono d’accordo. Ma dobbiamo stabilire se farlo in maniera traumatica, come vorrebbero i sostenitori dello stop alle estrazioni, cioè senza avere prima stabilito un percorso, oppure con un percorso ragionevole di transizione.

Non è che la transizione diventa poi una scusa per non fare nulla?

Questo è compito delle istituzioni smentirlo. E poi, mi pare che dobbiamo cominciare a riporre un po’ di fiducia nelle istituzioni, che oltretutto esistono perché le hanno votate i cittadini, altrimenti vengono a mancare i punti di riferimento. Un esempio di una buona pratica che le istituzioni potrebbero mettere in campo l’ha segnalata Romano Prodi: il Governo dovrebbe impegnarsi a reinvestire le risorse provenienti dallo sfruttamento degli attuali giacimenti di fonti fossili per finanziare la ricerca, la produzione e la conservazione delle energie rinnovabili. In altri Paesi è stato fatto.

Dove?

Le faccio l’esempio della Norvegia, una delle nazioni sempre prese a modello dal punto di vista della salvaguardia dell’ambiente, che ha stabilito una road map avanzata verso l’uso delle rinnovabili. La Norvegia finanzierà un fondo di investimento di 200 milioni di dollari che nei prossimi sette anni sosterrà l’attività di ricerca e sviluppo delle energie rinnovabili. E sa chi finanzierà questo fondo?

No, ce lo dica.

La Statoil, cioè la società norvegese di estrazione del greggio della quale il governo detiene il 67 per cento delle azioni. E non è tutto: la Statoil realizzerà ‘Batwind’, un’innovativa batteria al litio per l’accumulo di energia da fonti rinnovabili: verrà installata nel primo campo eolico galleggiante, lo Hywind pilot park, al largo di Peterhead in Scozia. La batteria avrà la capacità di 30  megawatt, circa come 2 milioni di iphone. Ci pensi, sarebbe come se in Italia la ricerca sulle rinnovabili fosse finanziata grazie ai proventi delle estrazioni di gas naturale…

Che è quello che lei va proponendo da tempo.

E che mi pare ragionevole. Ho iniziato proponendo di seguire il Paese scandinavo sulla strada dell’utilizzo del fondo sovrano, che è alimentato ovviamente dall’attività estrattiva, per finanziare il welfare. Creare ricchezza per creare benessere, insomma. E sulle rinnovabili, credo si debba costruire un percorso che ci porti al loro utilizzo che preveda però di utilizzare l’estrazione di gas naturale come fonte non solo energetica ma anche economica. In questo modo si può finanziare la transizione senza appesantire la fiscalità generale, perché questo sarebbe il rischio, se si bloccasse l’attività estrattiva. La ricerca e lo sviluppo sulle rinnovabili si deve basare su un sistema integrato che ha appunto le energie pulite da una parte e il gas dall’altra.

In molti ritengono che le rinnovabili sarebbero comunque una fonte di ricchezza per i territori, anche senza il gas.

E non sono in disaccordo, ma si debbono verificare alcune condizioni. La prima è che gli incentivi pubblici (10 miliardi di €/anno circa, ndr) sulle rinnovabili non vadano ad arricchire solo i fondi di investimento, cioè non finiscano per essere una semplice speculazione. Una seconda condizione è che parallelamente, come ho accennato prima, si possano riconvertire le tante imprese dell’indotto e i tantissimi lavoratori che vi sono occupati. Abbiamo maestranze di livello mondiale che rappresentano un patrimonio da non sperperare.

Si riferisce soprattutto al polo offshore dell’Emilia-Romagna e di Ravenna in particolare, che spesso porta a esempio.

Possiamo fare come la Norvegia. O come la Gran Bretagna, dove il primo ministro David Cameron ha deciso di costituire una task force per pianificare il futuro di un settore strategico per il suo Paese. Perché non possiamo farlo anche noi? Perché dobbiamo continuare ad alzare barricate dove da una parte ci sono i cattivi che vogliono trivellare e dall’altra i buoni che vogliono l’ambiente pulito? Il mondo non è così semplice e nemmeno suddiviso in questa maniera.

Come si immagina il futuro a breve del settore energetico?

Prendo a prestito ancora una battuta di Romano Prodi, quando dice che il nostro futuro è forse rinchiuso in una batteria. Perché lo sviluppo, soprattutto delle zone periferiche del mondo, come dice il Professore, è vincolato non solo a quanto saremo bravi a produrre energia pulita ma anche alla nostra capacità di accumularla in modo efficiente e a basso costo. Ecco perché è fondamentale trovare il modo di finanziare la ricerca, con le risorse che abbiamo a disposizione.

E se vince il Sì?

Parafrasando il grande Ennio Flaiano “in Italia la situazione è grave, ma questa volta diventerebbe dannatamente seria”.