Pubblicato su LINDRO.it Politica news del 25 marzo 2016
Gianfranco Borghini e Gianni Bessi dicono “no” al Referendum del 17 aprile
Anche Gianfranco Borghini non è più tenero, “si tratta di uno slogan. L’Italia ha già fatto moltissimo nel campo delle rinnovabili ed è più avanti rispetto agli impegni europei. Ogni anno gli italiani nella bolletta elettrica pagano oltre 12 miliardi di euro per gli incentivi dati a coloro che hanno installato pannelli solari e pale eoliche. Fermare la produzione delle compagnie petrolifere che producono in Italia gas naturale ed un po’ di petrolio, vorrebbe dire rinunciare ai loro investimenti, fatti con i soldi degli azionisti, senza risolvere il problema della sostituzione di questa fonte di energia. Per aumentare l’uso di rinnovabili, bisogna aumentare gli incentivi pagati con i soldi dei cittadini e continuare a devastare il territorio. Ed inoltre si dovrebbe aumentare l’importazioni dei combustibili per il trasporto (aerei, TIR, autovetture, Bus, Navi,..) e le materie prime per la petrolchimica. Sarebbe molto più ragionevole, usare gli incentivi per la ricerca scientifica nel campo dell’energia e lasciare l’installazione dei pannelli e delle pale odierne alle leggi del mercato”.
Augusto De Sanctis, commissione ambiente della Camera per il M5S, ha dichiarato che «i dati oggettivi raccolti da enti terzi dicono che a parità di investimento si creano tre posti di lavoro con le rinnovabili e uno col petrolio. Negli idrocarburi la produzione di lavoro e l’indotto sono i più bassi tra le categorie economiche. Invece le rinnovabili hanno un’economia diversa con forte intensità di lavoro e forte distribuzione della ricchezza».
La risposta del Comitato è netta. “Per sostituire l’energia prodotta nelle concessioni a mare che si vorrebbe chiudere con il referendum, occorrerebbe costruire quasi 5 mila pale eoliche, ovvero una fila di pale, da 1.5 MW poste a 100 metri l’una dall’altra, che va da Roma a Milano. Oppure ricoprire un pezzo di territorio pari a 100 KM quadrati con pannelli solari, ovvero il territorio occupato da una città media italiana, come Firenze, Napoli, Livorno, ecc. Otterremmo, cioè, solo per sostituire 2,5 milioni di TEP all’anno di energia, un gravissimo degrado del territorio. Con il livello raggiunto dalla tecnologia, ad oggi, non siamo in grado di sostituire gli idrocarburi. E’ evidente che la loro ricerca e produzione richiede alti investimenti, manodopera altamente qualificata, uso di tecnologie estremamente d’avanguardia. Quindi il ragionamento di De Sanctis è assolutamente improprio e fuor di luogo. Se volessimo solo energie alterative, non avremmo più’ un territorio su cui utilizzarle”.
“Penso che”, ha aggiunto Gianni Bessi, “il concetto chiave della frase di De Sanctis sia ‘a parità di investimento’. Per creare quei posti di lavoro bisogna investire. Ma le risorse da investire non si creano dal nulla e soprattutto non devono derivare dall’annientamento di un settore produttivo operante, come sembra pensi De Sanctis. Non esiste una corrispondenza tra chiusura impianti estrattivi e nascita impianti per energia rinnovabile. Sono un sostenitore della transizione dalle fonti fossili a quelle rinnovabili, e durante questi anni il gas, l’80% della produzione offshore, deve giocare un ruolo determinante al fine di riconvertire tutta la filiera, a cominciare dai lavoratori”.
Ma la domanda è questa: all’Italia conviene continuare ad estrarre? “L’Italia ha fatto della produzione di idrocarburi nazionali, grazie ad Enrico Mattei, l’occasione per metanizzare il Paese e battere la storica povertà di intere regioni italiane. Intorno a questo storico progetto, le nostre aziende hanno creato un sistema di eccellenza tecnologica ed imprenditoriale che non ha eguali nel mondo. I loro servizi ed impianti sono esportati in tutto il mondo portando un contributo importante alla bilancia dei pagamenti ed all’occupazione. Tutti questi benefici fanno sì che gran parte dell’energia che importiamo venga compensata da queste importazioni di beni, servizi ed impianti. Ed in più gli idrocarburi nazionali danno un contributo decisivo alla bilancia energetica del paese. Ciò che produciamo non lo dobbiamo importare e pagare in valuta. Rinunciare a tutto questo per la lotta politica dei Governatori di alcune Regioni contro il Governo centrale, appare semplicemente un suicidio nazionale”, ci spiega Borghini.
Bessi sottolinea che, “considerando la media degli ultimi 3 anni, le concessioni oggetto del Referendum (49) hanno prodotto complessivamente 2,5 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio di cui l’80% di gas naturale. Questo si traduce in una produzione pari al 2,3% del fabbisogno nazionale di olio&gas. Per capirci, interrompendo la produzione in Adriatico, saremmo costretti a importarne di più dall’estero, con un aumento di traffico marittimo. Questo scenario, oltre a non essere certo un ‘toccasana’ per l’ambiente, produrrebbe anche comprensibili effetti negativi sulla forza lavoro e sulla bolletta energetica italiana”.
E il fenomeno della subsidenza (denunciato da Legambiente), causato proprio ‘dalle attività estrattive nella zona dell’Alto Adriatico’. Non è da sottovalutare… Ma Gianni Bessi ci spiega che “ogni attività umana produce un impatto sull’ambiente. Sulla subsidenza, credo che ci si debba affidare alla scienza e avere fiducia nel rigore delle leggi italiane in materia. le agenzie pubbliche proposte a questa materia effettuano monitoraggi costanti. C’è chi dichiara che le estrazioni producano terremoti, ma anche in questo caso la scienza lo smentisce, basta leggersi il rapporto ufficiale dell’Ispra. Per capire come ci si possa muovere correttamente a livello istituzionale, la Regione Emilia-Romagna sta lavorando a un accordo sulle estrazioni a mare in piena collaborazione con il Ministero dello sviluppo economico: non esiste una contrapposizione stato/regione se gli obiettivi sono chiari e senza speculazioni politiche”.