di Gianni Bessi
Pubblicato su Corriere Imprese del 14 marzo 2016
Dopo Shell chi sarà la prossima? Saranno le aziende italiane, quali Eni o Edison, a tagliare gli investimenti in Italia? Le grandi multinazionali dell’oil&gas hanno capito che aria tira e se ne stanno andando: per i sostenitori del blocco delle estrazioni è una buona notizia. Ma se chiediamo a imprese e lavoratori del settore come la pensano, probabilmente ci direbbero una cosa diversa. Personalmente credo che abbiano ragione le imprese e i lavoratori: in particolare questi ultimi stanno rischiando di non avere più un’occupazione e si sentono dire ogni giorno quanto sia giusto fermare tutto. Le grandi imprese non hanno problemi a trovare un luogo dove investire, mentre per le nostre imprese locali, che operano nel massimo della sicurezza e utilizzando le più avanzate tecnologie, si riduce drasticamente il loro fatturato.
Su questo tema ho elaborato una posizione diversificata, almeno mi sforzo che sia così. Ritengo intanto che se si vuole eliminare un elemento da un sistema complesso bisogna già avere pronto un altro elemento che lo possa sostituire. Per capirci: chiudiamo l’offshore, ma sappiamo già come reimpiegare la manodopera e in che settore riposizionare le imprese. Altrimenti si assiste a drammi sociali, a depauperizzazione di territori, a creazione di precarietà. Dobbiamo costruire un percorso che ci porti in un futuro dove utilizzeremo solo fonti rinnovabili, come previsto dalle linee guida presentate dalla Commissione Europea in materia di sicurezza energetica dello scorso 16 febbraio 2016, ma un passo alla volta, senza strappi, senza soluzioni ideologiche. Sapendo che l’utilizzo del gas naturale, soprattutto come dice l’Ue quello di produzione nazionale,, in questa transizione, è indispensabile per le nostre esigenze energetiche
Di fronte a una tendenza a distruggere senza costruire, è mia convinzione che occorra una reazione: per questo ho iniziato a girare per l’Italia sostenendo le ragioni dei lavoratori e delle imprese dell’oil&gas. A breve sarò in Basilicata, poi andrò a Milano: mi recherò dovunque ci si confronti su cosa deve fare l’Italia per salvare questo distretto che è ancora oggi fonte di welfare per molte comunità locali. Ho scelto di stare con i lavoratori e lo sarò anche dopo il 17 aprile, dopo il referendum.
Dove intervengo cerco di affrontare le questioni che ritengo importanti per definire meglio di cosa stiamo parlando. In primo luogo, stiamo rischiando una vera e propria ‘morte annunciata di un distretto industriale’ che coinvolge le imprese della cantieristica navale e dell’impiantistica. Un declino che secondo i dati Unioncamere è definito da una contrazione di 15mila posti in tutta Italia nel periodo 2009-2014, soprattutto a scapito della cantieristica. Per rifarsi a un dato più recente, che riguarda l’impiantistica e la cantieristica offshore ravennate, negli ultimi 6 mesi quasi 900 persone su un totale di 6.700 hanno perso l’occupazione.
In questo momento il più grande alleato delle ragioni a sostegno delle estrazioni sono proprio i lavoratori impiegati direttamente o indirettamente nel settore, nel 2014 erano circa 140mila. Ritengo che debbano trasformare le proprie ragioni in consapevolezza e reagire con la stessa intensità e le stesse azioni messe in campo dai comitati “NoTtriv”.