di Gianni Bessi

Pubblicato su IL MESSAGGERO.it  il  21 novembre 2015

 

Il futuro assetto della ‘galassia Eni’ è stato disegnato e porterà il cane a sei zampe a diventare ciò che era stato annunciato dalla presidente Emma Marcegaglia alla fine dell’assemblea di bilancio dell’aprile scorso, «sempre più una oil&gas company…». Si tratta di una svolta storica, o meglio di un ritorno alla fase pionieristica del dopoguerra che ha avuto come portagonista Agip, che poi entrerà a fare parte del gruppo Eni.

Che l’ufficializzazione di questo percorso avvenga proprio nei giorni vicini al 53esimo anniversario della morte di Enrico Mattei a mio parere è una coincidenza curiosa e che fa ben sperare.

L’operazione con cui la Cassa depositi e prestiti, attraverso il Fondo Strategico italiano, è entrata in Saipem va in questa direzione. È una buona notizia. Era ciò che auspicavo in un intervento di qualche tempo fa proprio sulle pagine del Messaggero.it (‘Eni-Saipem, le incognite di una separazione’). Ora però comincia una sfida per il management di Eni, che è chiamato a realizzare la strategia delineata in questi ultimi mesi, cioè internazionalizzare sempre di più l’operatività dell’azienda.

A cui vorrei si aggiungesse anche l’obiettivo di diventare una delle realtà che contribuiscono a modernizzare il sistema industriale italiano e a portarlo nel mondo.

La scelta, insomma deve essere chiara non solo al management di Eni ma anche a chi ha responsabilità di Governo. Che dovrà impegnarsi su questa partita essenziale per un nuovo Progetto Italia: investire sulle intelligenze e le esperienze che aziende come Eni e Saipem hanno formato in questi anni. È la differenza fra una tattica di breve periodo e una strategia di lungo respiro.

Del resto le ‘esitazioni’ della politica fanno parte della nostra storia e del nostro presente. Sono la conseguenza naturale dei ritardi nelle scelte di politica industriale di un Paese dove si rinviano le decisioni e dove è facile bloccare le attività economiche facendo leva sulle paure. È il caso delle estrazioni in mare, che stanno raccogliendo molte opposizioni basate sull’emotività e non su dati scientifici.

Ma questi ostacoli non debbono diventare un alibi per non agire – sia del politico che del manager – perché a farne le spese sono alla fine migliaia di occupati.

Enrico Mattei puntò sull’oil&gas come primo passo per costruire un sistema industriale italiano. Gli eredi del fondatore hanno le capacità per fare sì che Eni continui certo a rappresentare una fonte di risorse economiche per lo Stato, ma soprattutto un nucleo forte su cui costruire un nuovo sviluppo italiano in settori fondamentali quali l’oil&gas dove siamo in grado di produrre ricerca, maestranze di profilo internazionale. E che possiedono un indotto di grandi dimensioni.

La vicenda Saipem è emblematica: con l’ingresso del FSI – acronimo di Fondo Strategico Italiano – abbiamo l’occasione di fare compiere un salto di qualità all’azienda, come è nelle sue potenzialità. Facendo in modo che sia un valore aggiunto per il progetto Italia e per il settore della meccanica impiantistica.

Difendere l’italianità delle nostre aziende non è un affronto al ‘mercato’, visto che vengono comunque impiegate risorse pubbliche della CdP. Così come difendere la presenza a fianco delle aziende pubbliche del lavoro delle aziende dell’indotto quali l’impiantistica industriale della meccanica. Gli altri Paesi lo fanno con le opportunità in sede di gare di fornitura utilizzando lo strumento del “last call”.

La cosa importante è che l’obiettivo di tutti sia confermare un industria italiana che cresca tutta assieme, le ‘nostre’ multinazionali insieme alle aziende dell’indotto. E che sia fucina di manager internazionali, patrimonio del Paese e offra speranze e opportunità a migliaia di giovani italiani. Perché ciò accada, le ragioni della finanza e l’egoismo di pochi non debbono prevalere sul buon senso e l’interesse di molti.