di Gianni Bessi
Pubblicato su il Messaggero.it del 1 settembre 2015
Con l’intervento pubblicato dal Messaggero online dal titolo ‘Non c’è un motivo per cui l’Eni debba liberarsi di Saipem’ avevo cercato di affrontare il tema delle politiche industriali nel nostro Paese, servendomi di un esempio che calza a pennello, quello di Saipem, una delle principali imprese italiane del settore energetico, che fa parte della galassia Eni.
Ora vale la pena di approfondire il tema Saipem alla luce dei dati riguardanti la semestrale presentata il 28 luglio scorso e del prossimo piano industriale, da cui dipende il destino di quasi 9 mila esuberi, che dovrebbe essere illustrato a settembre sotto la regia di Bain&C.
Stavolta analizzerò la questione Saipem per giudicare le strategie dell’azienda partendo dagli impatti che avrà sui territori dove opera: dalle voci sul Centro di Ingegneria di Fano, la cui attività sarà forse messa in discussione, al cantiere di fabbricazione in Sardegna, che pare possa essere messo in vendita, per finire al Centro di Saldatura a Cortemaggiore, nel piacentino, per il quale forse è già iniziata la procedura di trasferimento in Romania.
La Saipem è quindi in fase di ridimensionamento, e come rappresentante dei cittadini di una regione che mantiene una forte presenza industriale nel settore dell’oil & gas, debbo domandare al Governo – che è il maggiore azionista di Eni – cosa vuole fare di Saipem. Cioè se vuole un’azienda capace di stare sul mercato al pari della Petrofac, della Herema, della AllSeas – che sono tutte aziende private e, quindi, governate con la logica del profitto e con strategie spesso di breve termine perché il loro destino è nelle mani delle Borse – o una Saipem che sia un elemento forte e prestigioso del ‘Sistema Paese’.
Un’azienda capace di generare innovazione, tecnologia, di formare tecnici, di assumere ingegneri e di garantire ai propri dipendenti una prospettiva di successo nel mondo? Se l’opzione è quest’ultima allora dev’essere chiaro che non esiste una Saipem con queste caratteristiche fuori dall’orbita ENI.
Perché rappresenta una costola fondamentale, perché le due aziende si integrano e si completano.
Come dimostrazione di questo punto basta guardare al regolare turn over del management da Eni/Saipem e viceversa in tutti questi anni: il percorso di Stefano Cao e Umberto Vergine docet.
Ritorniamo quindi inevitabilmente alla tesi forte del mio precedente intervento: non esiste una Saipem di dimensioni internazionali e di rilevanza “sociale” per il nostro Paese, per il “Sistema Italia”, fuori da ENI.
In sintesi, il mio ragionamento era ed è che Eni non trarrebbe nessun vantaggio dal deconsolidamento della sua posizione in Saipem: il principale motivo a sostegno è che il debito di Saipem è garantito proprio da Eni.
È opportuno approfondire quest’ultimo punto. Anche se ENI dopo l’aumento di capitale di Saipem di cui si parla da tempo si venisse a trovare nelle condizioni tecniche di deconsolidare il debito, scendere cioè sotto la quota di partecipazione nel capitale che garantisce il controllo della società non dovendo quindi più considerare nel proprio bilancio anche il debito di Saipem, di fatto non potrebbe farlo perché è proprio Eni il garante di quel debito. Oggi le banche accordano garanzie a Saipem perché sono controgarantite da Eni: nel caso di un disimpegno di quest’ultima cosa succederà?
Temo che la risposta sia ovvia: bene che vada il costo di queste garanzie aumenterà considerevolmente. Se prendiamo in considerazione anche solo la differenza di spread fra quello che è il costo del denaro per Eni e il nomale prezzo di mercato, possiamo ipotizzare una differenza di almeno 300 Basis point che sarebbe applicata sia sulle garanzie sia sul debito. Parliamo di una cifra molto vicina ai dieci miliardi di euro, che corrispondono ad almeno 300 milioni di maggiori costi per Saipem.
Questo calcolo ovviamente si basa sulle informazioni in mio possesso, che non sono complete. Diciamo però che se le cifre che si conoscono sono vere si tratta di una analisi “verosimile”: mi farebbe piacere che qualcuno molto più esperto la smentisca, perché significherebbe che il destino di Saipem è molto più positivo di quello che appare.
Tirando le conclusioni, se questa operazione di “deconsolidamento ” è ineluttabile, almeno si faccia in modo che le risorse provengano da investitori istituzionali – quali Cassa Depositi e Prestiti e Fondo strategico – e che si realizzi tramite un aumento di capitale estremamente consistente, direi in misura tale da garantire a Saipem la sua indipendenza operativa, la possibilità di mantenere la posizione di leadership nel campo dei servizi all’industria di estrazione e una flessibilità imprenditoriale che le permetterebbe di continuare a essere un player di primo piano nel settore.
Cui prodest una simile operazione? Al Sistema Italia.