di Gianni Bessi
Pubblicato su il Messaggero.it l’8 luglio 2014
Mentre si discutono e si valutano gli spostamenti del più o meno 0,1% del pil, mentre inizia il semestre Ue a guida italiana con il mantra della “flessibilità” per il rilancio della economia europea – il rapporto “il futuro dell’Ilva il destino dell’industria siderurgica europea” della banca Ubs apre scenari di sventura con un forte impatto sulla nostra debole economia.
Il report della banca svizzera – ipotizza e calcola i benefici della chiusura parziale o totale dello stabilimento di Taranto a vantaggio dei suoi concorrenti come “la soluzione al problema della sovracapacità produttiva nell’Unione europea dove gli impianti sono in eccesso rispetto alle esigenze del mercato” .
Il problema della “sovracapacità produttiva nell’Unione europea” mi ricorda la riforma saccarifera che ha desertificato un settore. Quindi la “sovracapacità di acciaio” è difficile bersela anche se zuccherata.
Ubs lancia un’idea che favorisce i tedeschi gli scandinavi gli austriaci e i francoindiani.
La situazione Ilva è nota e di estrema delicatezza per quanto riguarda la nota vicenda ambientale e di grandi interessi sociali, di tanti parti coinvolte ad iniziare dagli 11 mila dipendenti.
In termini di sistema industriale la chiusura dell’impianto di Taranto potrebbe portare in Italia il livello dei prezzi sopra la media europea in quanto il consumo di acciaio sarebbe di gran lunga superiore alla capacità produttiva espressa dai rimanenti produttori italiani (rimarrebbero solo Arvedi con 2,5 milioni, il gruppo Metinvest con circa 450.000 tonnellate).
Il prodotto che verrebbe a mancare è il coils laminato a caldo (è la base di produzione di tutti gli altri prodotti: decapato, laminato a freddo, zincato) ed è la base per tutta la produzione di Marcegaglia. La competitività delle aziende trasformatrici italiane sarebbe gravemente minata poiché oggi “sfrutta” il costo della materia prima (lamiere e coils) grazie alla presenza di Ilva la cui presenza, da sempre, è stata una barriera alle importazioni.
L’Italia è il secondo paese in occidente per surplus nelle esportazioni manifatturiere: dagli elicotteri di grandi dimensioni alle navi passeggeri; dai rubinetti alle serrature. In mancanza di prezzi competitivi sul mercato interno le nostre aziende si troverebbero ulteriormente penalizzate a causa dei già noti costi dell’energia.
Ma mi basta guardare al mio osservatorio provinciale per essere preoccupato. Questi sono alcuni dati degli arrivi sul Porto di Ravenna da Ilva: anno 2014 (Maggio): 510.000 tonnellate (di cui Marcegaglia: 300.000 tonnellate); Anno 2013: 1.200.000 tonnellate (di cui Marcegaglia: 570.000 tonnellate); Anno 2012: 1.600.000 tonnellate (di cui Marcegaglia: 1.000.000 tonnellate). Gli arrivi da Ilva rappresentano il 25 % del totale degli arrivi nei primi 5 mesi del 2014. La percentuale varia: 29% nel 2013; 46% nel 2012.
I coils che arrivano da Taranto sul porto di Ravenna vengono consumati per oltre il 75% da aziende della provincia di Ravenna, il restante va in Emilia (Padana Tubi è il secondo produttore di tubi in Italia). La ricaduta occupazionale provinciale tra aziende impegnate direttamente (Marcegaglia, Terminal portuali, Cooperative di Facchinaggio, Metalsider) è stimabile in almeno duemila persone. E posso sbagliarmi ma per difetto. Le merci arrivate a Ravenna nel 2013 rappresentano circa il 22 % dell’intera produzione di Ilva.
Ravenna è un esempio del ruolo dell’acciaieria pugliese nel sistema produttivo e logistico italiano ed europeo. Ubs sostiene che – “un acquisto parziale o totale delle quote peserebbe considerevolmente sui conti..”. Circolano diverse soluzioni da potenziali “spezzatini” del sistema Ilva al “cavaliere bianco” straniero, con una spruzzata di italianità, che acquista tutto.
Occorre passare all’azione perché troppa teoria economica rischia di far perdere di vista la pratica di cui è fatta la realtà. Visto la gravità della situazione occorrerebbe una soluzione che “cambi verso”.
E’ un eresia proporre un intervento diretto dello Stato in Ilva? Per esempio attraverso un intervento di Cassa Depositi Prestiti (Cdp)? Visto che Cdp impiega le sue risorse secondo la sua missione istituzionale a sostegno della crescita del Paese (vedi Fondo Strategico Italiano).
L’auspicabile rilancio dell’Ilva (io sono sempre contrario alle chiusure ) è strettamente legato alla profonda riqualificazione ambientale dello stabilimento, a nuovi modi di produrre verso una economia di sistema, un grande salto culturale verso una sostenibilità economica e ambientale che deve coinvolgere l’intera società a partire dalla valorizzazione del territorio.
L’auspicabile “sostegno della crescita del Paese” verso una sostenibilità economica e ambientale è una risposta ad una emergenza di sistema sociale paese, visto la situazione della disoccupazione giovanile al 40% specie quella specializzata, secolarizzata e formata nei nostri mitici istituti tecnici.